Istituire, come per l’auto, una polizza obbligatoria di rc, a copertura dei rischi che corre il libero professionista nell’espletamento dell’incarico ricevuto, mi parrebbe assai saggio. Ovviamente se l’obbligo vale per tutti e se l’onere è condiviso con l’editore.

Nella vita bisogna essere previdenti. Soprattutto se si è lavoratori autonomi e se l’imprevisto è sempre in agguato. Prendiamo i giornalisti: vita convulsa, fretta, improvvisate continue, lavori e incarichi che si accavallano. Che accada qualcosa di spiacevole, ci sta. Ci sta di incontrare problemi non preventivabili, danni o impedimenti più gravi del previsto, infortuni che ti impediscono di proseguire o che addirittura ti bloccano per mesi. Le conseguenze? Spesso catastrofiche.
Certo, se sono un freelance e, mentre di mia iniziativa sto realizzando un servizio, ho malauguratamente un incidente stradale, non ho molte alternative: prendo e mi porto a casa rottami e ammaccature (speriamo non gravi), con l’auspicio di avere un’assicurazione personale che mi risarcisca dei danni subiti. Sennò, ciccia.
Il discorso però è o potrebbe essere un po’ diverso se il servizio che sto realizzando non è una mia iniziativa diretta, ma l’oggetto di una specifica committenza da parte dell’editore. Se cioè il giornale (ovvero il direttore, il caposervizio, etc) mi ha incaricato di andare nel tal posto a fare una certa cosa nell’ambito di quello speciale rapporto fiduciario che è la collaborazione giornalistica. E magari c’è una lettera di incarico, o magari è l’editore stesso ad aver provveduto a tutta o parte dell’organizzazione (ad esempio noleggi auto, biglietti aerei, etc) del servizio medesimo.
In tal caso la faccenda si complica. E si potrebbe chiedersi fino a che punto, in questo tipo di rapporto, io giornalista opero del tutto per conto mio o non anche per anche terzi. Così come su chi gravino le conseguenze che derivano, in termini di responsabilità civile, per i danni eventualmente procurati o subiti.
Non solo, ma la cosa sarebbe interessante da approfondire anche in termini preventivi, cioè al fine di evitare possibili futuri contenziosi tra il professionista e il committente. Altro esempio a caso: che succede se, a mia insaputa (o anche all’insaputa dell’editore, o anche a seguito di eventi imprevedibili), la strada che sono inviato a percorrere si è rivelata particolarmente accidentata o pericolosa, al punto da danneggiare la mia auto, o da provocarmi un incidente? E’ davvero implicito che, in un rapporto di collaborazione esterna, sul committente non incombano e/o non possano incombere corresponsabilità? La casistica è ovviamente infinita e ricca di sfumature, ma vale la pena di pensarci.
Non sono un tecnico della materia, né voglio addentrarmi qui nello svisceramento giuridico della questione. Desidero solo porla in termini di buon senso professionale.
E mi chiedo: nell’ambito di una contrattazione collettiva giornalisti autonomi-editori (o di un auspicabile provvedimento legislativo in merito), non sarebbe il caso di studiare forme di copertura assicurativa obbligatoria contro i rischi legati alle svolgimento dell’attività professionale, copertura da suddividere, nei costi, percentualmente tra le parti? Lo troverei saggio e oltremodo avanzato.
Insomma, quello che propongo è una sorta di “rca auto” sulla persona, legata ovviamente solo alle singole missioni svolte per conto dell’editore e il cui premio sia diviso, tipo INPGI2, in percentuali (di pari importo?) tra professionista e committente, da conteggiare tra le voci del corrispettivo in forma di trattenuta o di contributo. Che so: un 10% del corrispettivo, di cui 5% a carico del primo e 5% a carico del secondo.
Già sento i poco lungimiranti strepiti dei soliti noti, che non hano soldi, non vogliono spendere, ci pagano già poco, etc.
Sciocchezze: se andando sul luogo del delitto cadi di motorino e ti rompi le gambe, poi per tre mesi i delitti li guardi in tv e quindi è meglio premunirsi senza frignare troppo. E poichè le normali polizze infortuni sono costose e non sempre coprono tutto, pensare a un’assicurazione ad hoc, il cui costo sarebbe oltretutto ben più basso in quanto “spalmato” su migliaia di professionisti e centinaia di editori, è tutt’altro che peregrino.
Che del resto il giornalismo sia già un’attività affidata in gran misura alla libera professione lo dimostrano i numeri (il 70% del pubblicato è prodotto fuori dalle redazioni, la cui consistenza va non a caso progressivamente riducendosi), pertanto il nodo dell’introduzione di una qualche forma di assicurazione per i commissionarii mi pare solo una questione di tempo.
Anticipare i problemi, anziché farsi sorprendere dalle circostanze, potrebbe dunque essere una buona idea. Credo valga la pena di cominciare a pensarci.
Perché l’Ordine non se ne fa carico?