Sono stati parecchi i colleghi a indispettirsi per il mio recente post (qui) a proposito di giornalismo imprenditoriale. Altri, senza risentirsi, si sono sentiti chiamati in causa. Mi rendo conto di aver toccato un punto debole, anzi debolissimo, della categoria. Un punto debole di cui i singoli sono vittime. Ma di cui, collettivamente, siamo tutti responsabili. Dai commenti ricevuti mi pare tuttavia che il concetto non sia chiaro e dunque sento il bisogno di circoscriverlo meglio.

Il mio ultimo post sui “giornalisti-imprenditori” ha fatto e sta facendo molto discutere. Bene. Segno che il tema è caldo e che su di esso le coscienze sono sensibili, in un momento in cui la categoria è smarrita e spesso ci si guarda intorno cercando onorevoli vie d’uscita da una professione divenuta una gabbia.
La questione centrale mi pare evidente: chi è, in concreto, il soggetto a cui mi riferisco? Che fa? Cosa non fa?
Ecco, a mio giudizio, alcune risposte.
Non è innanzitutto giornalista-imprenditore l’imprenditore-giornalista. Colui il quale, cioè, pur rivestendo la qualifica di giornalista, ha scelto di intraprendere un’attività imprenditoriale, assumendosi i rischi di impresa e acquisendo così la veste, i diritti e i doveri, dell’imprenditore.
Non è giornalista-imprenditore nemmeno colui che, per scelta o per necessità, ha deciso di affiancare all’attività giornalistica “diretta” (cioè scrivere articoli) quella “indiretta”, cioè le consulenza e gli uffici stampa, perché si tratta di attività rientranti perfettamente, se svolte nel rispetto della deontologia, in quella giornalistica.
Non è secondo me giornalista-imprenditore, addirittura, neppure chi, per sbarcare il lunario, affianca il giornalismo con altre attività aventi fine di lucro (ferme, per i professionisti, le questioni inerenti la principalità del reddito) non esplicitamente escluse dalle norme deontologiche.
Ma allora chi è il giornalista-imprenditore?
E’ quella figura grigia, dai contorni volutamente sfumati, nella quale una certa corrente di pensiero vorrebbe far confluire chi pretende di avvalersi contemporaneamente dell’autorità, il prestigio, l’autonomia riconosciuta al giornalista e della disinvoltura, la “creatività”, la mancanza di scrupoli (legali), l’abilità commerciale che contraddistinguono l’imprenditore. Uno che tiene i piedi in due staffe e approfitta del doppio appoggio. Un soggetto che, aggirando i doveri del primo con la giustificazione di essere l’altro (e viceversa), opera in posizione trasversale e ambigua, facendo concorrenza sleale ai colleghi di ambedue le categorie perché si avvale delle prerogative di tutti, senza rispondere agli obblighi di nessuno. Insomma è quel modello di giornalista a cui – per due ragioni: manica larga a monte e mancanza di controlli a valle da parte dell’Ordine – tende, diciamolo, la stragrande maggioranza dei colleghi presenti sul mercato professionale. Qualcuno che l’impresa la fa dentro la professione e non fuori di essa.
Facciamo degli esempi concreti.
E’ giornalista-imprenditore: chi fa uffici stampa e scrive articoli sui giornali a proposito dei propri clienti; chi scrive recensioni (ovviamente encomiastiche: ma c’è anche chi ha un tariffario “calibrato” in base alla bontà dei giudizi) pagate non dal giornale ma da un occulto cliente/committente; chi non è giornalista ma si atteggia a tale, pretendendone i privilegi ma non sottoponendosi ai relativi doveri; chi svolge o organizza attività che nulla hanno a che fare con il giornalismo, tranne il fatto di essere svolte o organizzate da un giornalista; chi, facendosi scudo della qualifica professionale, vende pubblicità o mescola senza esplicito preavviso pubblicità e informazione; chi sostiene che “fuori dal giornale” (ad esempio su un proprio blog) può fare quello che vuole (come se, dismessa l’uniforme, un carabiniere potesse giocare d’azzardo o fare spogliarelli); chi sostiene che i “nuovi media”, essendo più “democratici”, permettano a tutti di fare tutto e in particolare ciò che le regole della professione non consentono; chi considera ed usa il giornalismo come una leva del marketing. E si potrebbe continuare a lungo.
In definitiva è giornalista-imprenditore chi si “arrangia” pur appartenendo a una categoria alla quale arrangiarsi, se non entro certi paletti, non è consentito.
Si dirà: tutti devono campare. Certo. Ma di fare il giornalista (o l’arbitro, o il magistrato, etc) non l’ha ordinato il dottore e al giornalista certe cose non sono consentite: sia perché, in generale, deontologicamente inammissibili, sia perché (e la cosa è forse anche più importante), se fatte, infangano l’intera categoria e quindi i tanti colleghi che con sacrificio, consapevolezza, coerenza, rigore e magari una punta di idealismo continuano a svolgere dignitosamente il proprio lavoro. Stufi di vedere la gente darsi di gomito perché qualcuno che appartiene al loro stesso ordine professionale ha deciso furbescamente di “intraprendere” .