Dopodomani il Consiglio della Toscana è chiamato ad approvare il piano paesaggistico: un colossale pasticcio ideologico su cui prevarrà comunque la ragion politica, quella delle elezioni regionali di primavera. E il caso diventa nazionale.

S’erano tanto litigati.
E ora, come i capponi di Renzo, ambo le parti si trovano ad arricchire la mensa della voracità politica di Enrico Rossi, il governatore uscente della Toscana (autodefinitosi tempo fa fieramente comunista), ricandidatosi alle elezioni di maggio e, ovviamente, a caccia di consensi.
Fu così che la vibrante polemica tra pro Pit e anti Pit finì ingloriosamente sacrificata sull’altare del partito.
Il PD, ovviamente.
Riassumere la vicenda sarebbe lungo e tecnicamente complicato, ma in estrema sintesi si potrebbe dire quanto segue.
Nel luglio scorso la Regione, auspice l’assessore all’urbanistica Anna Marson e un pugno di accademici di provata fede, approva un piano paesaggistico di impostazione fortemente vincolistica. Ci finisce dentro di tutto: dalle cave delle Apuane, ai litorali, all’agricoltura. Si toccano interessi anche legittimi e le parti interessate insorgono. Non mancano le contraddizioni, anche un po’ grottesche: se da un lato, ad esempio, per la campagna si vagheggia il ritorno agli stessi orizzonti che cinquant’anni fa si erano voluti demolire in quanto simboli dell’ancient regime mezzadrile, da un altro si tenta di far credere che cavare pietre con la dinamite a migliaia di metri cubi sia lo stesso che cavarle coi cunei di legno.
Mentre i teorici discutono, scontrandosi sul piano ideologico, i pratici invece si dividono. Nascono così, e si mobilitano, due partiti trasversali: quelli a favore del piano (sinistra radicale, radical chic, comitati, professori, ambientalisti singoli e associati, etc), che lo dipingono come un ostacolo allo scempio, e quelli contro (liberali, liberisti, imprenditori ma anche maestranze e fasce di elettori di centrosinistra intimorite per le conseguenze economiche dei vincoli), che gridano alla deriva marxista e all’arresto dello sviluppo.
Ambedue gli schieramenti, vista l’eterogeneità dell’argomento, hanno parecchie frecce dialettiche nei loro archi.
Ma poichè, alla fine, si tratta di prendere una decisione politica, la palla presto passa appunto nelle mani della politica e dei calcoli ad essa connessi. In vista del voto, comincia la campagna acquisti bipartisan tra i consiglieri regionali e gli emendamenti fioccano a centinaia.
Ora il fatto è che a maggio, in Toscana, si vota. E che, come detto, il governatore uscente Enrico Rossi si ricandida.
Rossi è un politico scaltro. Ondivago quanto basta e capace di fiutare l’aria. Bravissimo a oscillare, secondo convenienza, tra il centrismo di Renzi e le nostalgie veterocomuniste di ampie fasce dell’elettorato regionale.
Cosa ne pensi o ne pensasse Rossi del Pit partorito dalla sua giunta, non è infatti mai dato sapere. Il governatore si è sempre espresso con variegati equilibrismi, mandando avanti – a volte sconfessandoli, a volte appoggiandoli – i suoi assessori. Probabilmente, non pensa nulla. Se non che esso costitisce, adesso che le urne si avvicinano, una delicata leva elettorale, da azionare quindi con la massima attenzione.
Con un’ulteriore complicazione: siccome il Pit, per essere applicabile, deve avere il benestare del Ministero, il caso diventa anche nazionale, coinvolgendo il Governo.
A questo punto, però, il tempo stringe davvero.
Gli appelli politici e richiami all’ordine, da parte degli schieramenti, ai consiglieri di (presunta) appartenenza si fanno pressanti. Amplificati, com’è ovvio, dalla stampa militante.
Rossi annaspa. Prima afferma che il paesaggio non può essere ingessato, poi dice che, se non ci si mette d’accordo, bisogna tornare al testo originale, quello vincolistico.
Insomma, comunque vada sarà perchè la ragion politica ha prevalso sulla sostanza. E, visti i precedenti, il Pit ucciderà le attività economiche piccole e inoffensive e lascerà mano libera a quelle più invasive. Dei buoni risultati tutti rivendicheranno il merito e la colpa di quelli pessimi sarà sempre colpa degli altri.
Ognuno ha il paesaggio (politico) che si merita.