Chiamatelo outing, chiamatela resipiscenza. Ma sono sempre di più i blogger che cominciano a farsi domande sulla presunta indipendenza della cosiddetta blogosfera. Perchè la differenza non la fanno i soldi, ma chi li paga a chi. E come.
E’ toccato al caldo agostano portare sul web, via blog, due post (accidenti all’inglese!) di argomento eno-deontologico che sembrano proprio avere tutte le caratteristiche delle convergenze parallele di aldomoriana memoria. Tema: l’eterna questione del “compromesso storico” tra critica (giornalistica e non) e pubblicità. Sotto spoglie più o meno mentite.
Ha dato fuoco alle polveri il 5 agosto, sul suo ottimo Internet Gourmet (qui), Angelo Peretti. Chiedendosi: “Ma i blogger non erano indipendenti?”. Ieri ha rilanciato il mio compare Carlo Macchi, che da Winesurf ha sparato nell’etere (qui) una maliziosa domanda: “Valuto i vini agggratis, quindi non sono credibile?” Insomma, sebbene da sponde diverse i due autorevoli internauti si pongono il medesimo quesito sul rapporto tra web e denaro, tra blog e sponsor, tra le ragioni del soldo e la retorica del “gratis” che imperversa in rete, al cospetto di un mondo in cui la pubblicità (anche occulta) è l’anima del commercio.
La parallela convergenza delle due domande è evidente. Da un lato, quello di Peretti, c’è la “web advertising assistant” (traduzione: una che fa pubblicità via internet conto terzi) di una casa vinicola che gli chiede se è disposto a pubblicare sul blog, a pagamento s’intende, articoli compiacenti sui vini della sua azienda. Dall’altro, il lungocrinito corregionale si domanda invece se il fatto che le recensioni da lui pubblicate su Winesurf non siano “pagate” possa togliere credibilità alle stesse.
Insomma, due facce della stessa medaglia: qui denaro offerto e rifiutato, lì assenza di mercede. Nel mezzo l’autorevolezza, il prestigio, l’autonomia del recensore.
Il punto in cui le parallele si incontrano è, a mio parere, quello in cui si risponde a due ulteriori domande. Che sono una variante delle prime.
Uno: chi paga chi?
Due: per che cosa il pagante paga?
Lo dico perché nel dibattito mi pare restare sotto traccia una strisciante ambiguità. Un’ambiguità in base alla quale nella discussione trovano diritto di cittadinanza tre soggetti che, viceversa, non potrebbero né dovrebbero essere messi sullo stesso piano: un soggetto che recensisce, un altro che legge l’articolo e un terzo che invece ha un interesse economico alla pubblicazione e al contenuto della recensione. Nel momento in cui uno dei primi due ha qualche cointeresse con l’ultimo, il sistema va infatti in corto circuito e addio imparzialità, trasparenza, autorevolezza, credibilità.
Mi spiego.
Se è l’editore che paga (o non paga: contento l’altro…) la recensione al giornalista, è evidente che si tratta di una prestazione professionale, soggetta ai doveri deontologici imposti agli iscritti all’albo professionale e quindi passibili, in caso di violazione, anche di sanzioni disciplinari.
Se è sempre l’editore che paga, ma dietro foraggiamento di un produttore, questa chiamasi marchetta. E si chiama allo stesso modo anche se il soldo, saltando l’editore o il direttore, va direttamente dalle tasche del produttore a quelle del recensore. E’ cosa immorale e illecita.
Se invece è il produttore che paga la recensione, si presume positiva, si tratta di semplice, lecitissima (a lui) pubblicità. Ed avrà le forme della reclame oppure della marchetta camuffata, ma sempre advertising sarà.
Il problema si fa più sottile, e dà spunto alle domande poste dai colleghi, quando invece il denaro corre non tra i produttori e i professionisti dell’informazione (ovvero i giornalisti), ma tra i produttori e blogger, opinion maker, chiunque insomma, in virtù della propria posizione, o influenza, o visibilità, o mezzi di comunicazione di cui dispone, possa orientare il comportamento del consumatore senza doveri di obiettività bensì semplicemente esprimendo la propria (e non necessariamente sincera) opinione.
E qui il discorso si fa difficile.
Rivelatrice del pensiero corrente è la considerazione che la “web advertising assistant” fa proprio a Peretti: “Sono la redattrice degli articoli (articoli? Ndr) che pubblichiamo sui nostri (nostri? Ndr) portali e blog (nb: si fanno i blog da soli per pubblicizzare se stessi? Ndr). Attualmente stiamo collaborando con l’azienda vinicola xxxxx, gestendo pagine Facebook e blog (ancora?) dedicati ad essa e ai suoi prodotti. La mia idea è quella di creare un rapporto di collaborazione con Voi. Saremmo interessati a far scrivere recensioni del nostro blog (o della cantina xxxxx) o a far sì che possiate condividere (!)contenuti scritti da noi. Sareste disposti ad offrici qualche servizio? Di che genere? Quanto costerebbe?”
Il Peretti ha giustamente e sdegnosamente rifiutato, invitando l’interlocutrice e i lettori a fare bene attenzione a distinguere informazione e pubblicità. Distinzione che è obbligatoria per i giornalisti, ma non lo è per gli altri. Da cui la lapalissiana conclusione che, in teoria, per un blogger non è affatto proibito né, teoricamente, disdicevole, pubblicare recensioni a pagamento. Il che è esattamente ciò che spesso accade, di norma nella forma della pubblicità occulta.
Con mille possibili varianti, certo.
Ne consegue che il moltiplicarsi dei media, il confondersi tra tribune private e professionali, la mancanza di un’autorità che controlli o di una norma che regoli il comportamento delle persone in un mondo in cui, globalizzatamente, l’opinione di uno diventa subito condivisa ed influente, la confusione dei ruoli, l’autoreferenzialità, il diffondersi di un latente “dopolavorismo professionale” che è sovente fonte di redditi ma non di regole di comportamento, diventa appunto, come conclude Angelo Peretti, un problema: “…perché è difficile pensare – dice – che una web advertising assistant scriva a un blog proponendo uno “scambio” come quello riportato se non ha trovato qualche spazio di disponibilità presso qualcheduno fra i millanta blogger attivi in rete“.
Appunto. Anzi, un problema lo è da un pezzo, sebbene a molti faccia comodo sostenere il contrario.