di ANDREA PETRINI
Fiano di Avellino DOCG “Pietramara” 2003 I Favati: l’annata torrida faceva presumere molto alcool e vita breve, ma nel bicchiere il vino ha demolito ogni pregiudizio.
In questo caldo periodo di vacanze mi era venuto il dubbio se dedicare la nostra rubrica all’approfondimento di un grande rosso oppure se lasciare spazio a qualcosa di più “fresco” e stagionale.
Ho optato per la seconda alternativa.
E così mi è venuto in mente che qualche mese fa, ospite della FIS di Roma avevo degustato, nell’ambito di una verticale, un grande Fiano di Avellino, il “Pietramara” 2003 portato in degustazione da Cantine I Favati. L’azienda irpina, nata nel 1996, inizia ad imbottigliare solo nel 2000 grazie alla tenacia di Giancarlo Favati e Rosanna Petrozziello che oggi, assieme al cognato Piersabino e alle figlie Carla e Brigida, gestiscono questa bellissima realtà con il prezioso contributo dell’enologo Vincenzo Mercurio.
L’azienda dispone di circa 40 ettari suddivisi tra San Mango, Atripalda, Venticano e Montefredane per ben 9 etichette tra Fiano, Greco, Aglianico (prevalenza zona Taurasi DOCG) per una produzione totale di oltre 100.000 bottiglie.
All’interno di questa gamma il Fiano di Avellino “Pietramara” etichetta nera è il bianco “storico”. La prima annata ne furono prodotte appena 3.600 bottiglie, tutte provenienti ovviamente da una singola parcella di 5 ettari situata a Contrada “Pietramara”, ad Atripalda, un piccolo “anfiteatro” naturale che si apre da nord-est a nord ovest a circa 450 metri di altezza.
Come già detto, in quella verticale che copriva le annate 2022, 2021, 2020, 2019, 2018, 2017, 2016, 2013, 2010 e 2003 fu proprio l’ultima a sorprendermi di più, perchè viene classificata come annata molto calda e quindi foriera di vini per definizione alcolici, voluminosi e dallo scarse prospettive di evoluzione.
Questa bottiglia si è rivelata invece sbalorditiva, demolendo ogni pregiudizio grazie a un vino ancora dinamico, ricco di gioventù, certo avvolgente e strutturato, ma niente affatto pesante.
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