La fiera riminese è stata un’espressione scultorea delle correnti tendenze di sviluppo e affermazione dell’industria del turismo. Anche grazie all’embedding dell’editoria e alla pacificata disillusione dei giornalisti.
Mi sono fatto una mezza e piacevole giornata al TTG di Rimini e sono tornato con le idee piuttosto chiare su parecchie cose.
La prima è che la fiera funziona, non solo organizzativamente ma commercialmente. E’ una questione di dimensioni, di operatività e di natura dei visitatori: la presenza di soli addetti ai lavori agevola in modo enorme i contatti, gli incontri, la logistica e i costi. La sensazione è insomma che al TTG non si passeggi, ma si lavori. Lo testimonia un parterre di espositori grande e numeroso come da anni non si vedeva. E anche una certa opulenza di allestimenti.
La seconda è che invece la presenza della stampa si sia rarefatta, con beneficio di tutti. Finita la transumanza da una conferenza all’altra, visto che ormai se ne organizzano poche. Non è più alle fiere del resto che si trovano notizie o si coltivano rapporti. Men che meno si ideano e si progettano viaggi da fare, anche perchè ormai quasi più nessuno ti offre o ti chiede di farli. Questo clima disteso e di pacificata disillusione agevola la nascita delle idee e le opportunità di incontro. Quelle di lavoro vero, viceversa, restano una chimera esattamente come prima.
Andando ancora più sul professionale, mi è poi parsa chiara una cosa: l’industria del turismo non ha più bisogno della stampa, pur nelle sue variegate declinazioni (carta, web, radio/tv, etc) come tramite privilegiato per raggiungere il pubblico, ma necessita solo di efficaci strumenti di marketing puntati verso le leve più sensibili del consumatore. Il quale da un lato si è omologato, da un altro si è evoluto, da un altro ancora non ha mai avuto meno voglia di adesso degli approfondimenti, spigolature, chiavi di lettura che solo i giornalisti accorti sapevano individuare. L’estrema facilitazione sia della mobilità, sia del reperimento diretto di notizie pratiche ha reso pressochè inutile la stessa esistenza della stampa “di servizio”. Figuriamoci quella dei giornalisti-viaggiatori.
L’ultima evidenza emersa tra i corridoi e i capannelli di TTG 2023 è che al meccanismo appena detto l’editoria di settore si è adeguata, o almeno prova ad adeguarsi, trasformandosi a sua volta: da veicolatrice di informazioni a veicolatrice di messaggi. Pubblicità smooth, ovviamente, una sorta di infotainment su carta. Non c’è più la scultorea divisione di funzioni tra chi offre in vendita spazi per reclame e chi li compra, ma co-progetti di marketing elaborati insieme e di lungo periodo, in cui le parti si autoasseverano reciprocamente.
Una missione, o un dato di fatto, che emergevano esplicitamente già dal claim prescelto per l’evento: “Una forma di pensiero chimico che scompone le variabili della realtà per ricomporle in un disegno nuovo, generatore di prospettive inconsuete…nell’urgenza di disegnare un nuovo ordine per lo sviluppo del comparto, delle imprese, dei prodotti” grazie all'”impiego dell’Ai per la co-creazione delle rappresentazioni visive“.
Al di là dell’affabulazione, il senso mi pare chiaro.
Ora si tratta di raccontarlo, che sarebbe compito nostro.