Il caso dei colleghi fermati in Siria da un lato, la polizza di responsabilità civile verso i terzi presentata oggi dall’OdG toscano dall’altro riportano d’attualità l’ennesimo nodo mai sciolto di questa professione: l’assicurazione a favore dei giornalisti freelance.

Quattro giornalisti italiani sono da qualche giorno nei guai nel nord della Siria. Sulla vicenda la Farnesina e il tam tam dei colleghi invocano giustamente il silenzio-stampa (ma era inevitabile che la notizia e i nomi filtrassero), mentre cresce l’ansia di familiari e amici. Nell’ambiente corre intanto, nemmeno molto sotto traccia, una polemica tra chi accusa di “sciacallaggio” quelli che, sordi all’appello, continuano a dare informazioni sul caso, e chi disinvoltamente, ma con una punta di realismo, risponde: “Ma noi siamo sciacalli, il nostro mestiere è portare le notizie“. Nel mezzo il presidente dell’Ordine, Iacopino, che invita tutti alla “prudenza”, evitando i dettagli.
Nelle stesse ore, all’OdG della Toscana è in corso la conferenza stampa di presentazione della polizza professionale (intanto qui, poi sui particolari mi soffermerò con un post ad hoc) contro la responsabilità civile dei giornalisti verso i terzi.
Allora mi è venuta una domanda: ma che tipo di “copertura” assicurativa hanno i quattro sfortunati colleghi, che partono da situazioni professionali molto diverse tra loro? Che precauzioni hanno preso o sono state prese per loro, di che “rete” di sicurezza sono dotati, che organizzazione avevano alle spalle che potesse prevenire certe circostanze o, quando queste si fossero verificate, attenuarne l’impatto o risarcirne i danni? Non parlo solo di danni fisici, bensì anche banalmente materiali. Che possono essere enormi: l’investimento finanziario, le spese vive, le attrezzature, le informazioni andate perdute.
Chi mi legge sa che l’assicurazione dei giornalisti è un mio pallino, al punto che da tempo mi ronza in testa un’idea (inascoltata, è ovvio). La potete leggere qui. Le ho pure dato un nome: “RCGiornalista“.
E non penso tanto ai contrattualizzati, che giustamente godono della copertura offerta dalla testata da cui dipendono, ma agli “autonomi”, cioè i freelance. Sull’intraprendenza, il coraggio, ma anche le risorse organizzative e le spalle finanziarie dei quali ricade sempre buona parte del rischio: sia quando si opera in zone pericolose, sia quando si lavora in aree o su casi apparentemente tranquilli.
Il pericolo è infatti un’insidia sottile, che non affligge solo i teatri più rischiosi, come quelli bellici, ma tutto il possibile ventaglio di esercizio della professione.
A me è capitato spesso di correre dei rischi, lavorando. Rischi grossi, imprevisti, forse imprevedibili. Spari, arresti, malattie, infortuni, situazioni sordide, furti, rapine, incidenti. Mi è sempre andata bene, per fortuna.
Non mi sono mai domandato, dopo, chi me l’aveva fatto fare. Era il mio lavoro.
Ma mi sono chiesto, sempre, se e fino a che punto era logico che fossi andato, di mia iniziativa o per conto di altri (il freelance lavora anche su committenza), a fare qualcosa senza preoccuparmi troppo dei pericoli che correvo e delle loro possibili conseguenze.
Per questo predico, praticamente da sempre, la necessità di una consapevole “alleanza” tra giornalisti freelance, editori, ordine e sindacato che porti, nel comune interesse, a un obbligo assicurativo condiviso ed equamente distribuito tra le parti sotto il profilo dei costi. Un obbligo, come tale inaggirabile esattamente come quello contributivo, che metta in condizione il giornalista di fare il proprio lavoro nella ragionevole certezza che, se finisce nei guai o gli succede qualcosa di brutto, esista un sistema che possa concretamente contribuire a tirarlo fuori e/o ad attenuare le conseguenze degli eventi.
Non credo sia un miraggio: l’interesse è di tutti. Pensiamo agli inviati mandati sul posto come tali senza averne la qualifica (la storia recente, anche tragica, ne è piena). A chi ha lettere d’incarico. E ai risarcimenti a cui il committente si espone se, come spesso è possibile, si dimostra che il giornalista non era appunto in giro per conto proprio, ma per conto di qualcuno.
Ecco, se c’è chi è disposto a parlare di questa complessa ma urgente questione, io sono qui.
Posso perfino farne un argomento di programma elettorale in vista delle prossime consultazioni dell’Ordine.
Interessa a qualcuno?