Con Buy Food, vetrina dei prodotti agroalimentari a IG che mette in contatto produttori e compratori, la regione tenta il colpo d’ala verso i mercati esteri. Considerati i numeri e la struttura produttiva del comparto, impresa non facile ma possibile.

 

Nel mercato globale, la Toscana dell’agroalimentare di qualità è vincente in termini di appeal e di influenza sull’immaginario collettivo, quindi anche di capacità di marketing. E rimane una corazzata sotto il profilo dei grandi numeri, fattore che invoglia gli amministratori e le categorie interessate a espandersi ulteriormente sulle piazze internazionali. Le tendenze generali sono favorevoli: nel solo primo semestre del 2023 le esportazioni toscane del settore sono cresciute del 14,4% rispetto all’intero 2019, per un valore di oltre 1.750 milioni di euro. La Toscana è inoltre prima in Italia anche per numero di riconoscimenti (90 tra DOP e IGP: 32 alimentari e 58 vini)

Ma anche nella cosiddetta Dop economy non è tutto oro ciò che luccica e il colosso, se si esclude il fenomeno del vino, rimane fragile.

Lo dicono i numeri stessi: in Toscana operano 43mila imprese agricole, delle quali 17.777 impegnate in produzioni a Indicazione Geografica, che rappresentano quindi il 30% del valore agroalimentare regionale, contro il 21% del dato nazionale, e circa il 79% del valore IG del centro Italia.

Siena si afferma come prima provincia della regione, seguita da Firenze e Grosseto, e si colloca anche tra le prime dieci in Italia per impatto economico dei prodotti a IG. Con sei biodistretti (Montalbano, Chianti e Maremma, Fiesole, Val di Cecina e Calenzano) la regione conferma la sua vocazione bio, grazie al 37% dei terreni coltivati e 7mila operatori certificati, ossia l’8% del totale nazionale, con un aumento lieve (+1,6%) rispetto al 2021, dato che non rispecchia il trend di crescita degli ultimi anni, (+16% circa tra il 2020 e il 2021), ma che fa presupporre una stabilizzazione del settore. Con 229mila ettari di superficie agricola coltivata a biologico, la Toscana si colloca al terzo posto assoluto tra le regioni italiane e al primo per incidenza della superficie bio sul totale regionale (Istat, 2022). Le aziende agricole bio toscane rappresentano il 14% del totale, un dato che conferisce alla Toscana la leadership nazionale in questo ambito.

Cifre che rivelano l’enorme potenziale di un comparto però anche fortemente polverizzato e strutturalmente inadeguato ad affrontare mercati complessi. Insomma – come ha detto il direttore Agricoltura e Sviluppo Rurale delle Regione Toscana, Roberto Scalacci, aprendo il convegno sulla sostenibilità dei prodotti Dop e Igp che ha concluso giorni fa la quinta edizione di Buy Food, la vetrina internazionale dei prodotti agroalimentari certificati tenutasi al Palazzo degli Affari di Firenze il 26 e 27 ottobre scorsi – “senza aggregazioni che creino massa, non sempre piccolo è bello”.

Se è troppo piccolo poi, aggiungiamo noi, non sarà mai neanche bello.

Si impongono forse, dunque, delle scelte “politiche” sugli indirizzi da prendere. Scelte non sempre compatibili tra loro. E per le quali le alternative sembrano tre.

O, attraverso la corretta promozione da un lato e la tutela dei redditi dei produttori dall’altro, si rafforzano la domanda interna e, in parallelo, l’indispensabile sistema distributivo, allargando così il mercato domestico di nicchia (o di “eccellenza”) destinato comunque, per sua natura, a restare tale.

O, sempre attraverso un’efficace promozione, si alimenta la domanda estera, ma essendosi prima messi in grado di soddisfarla con un’offerta strutturata e adeguata in termini di volumi e di continuità produttiva. Cioè con le aggregazioni produttive e commerciali evocate da Scalacci.

Oppure ci si rassegna al fatto che i numerosissimi prodotti agroalimentari toscani di qualità debbano continuare a stentare nella precarietà, potendo essi affidarsi unicamente alla tenacia dei produttori e far leva solo su ricavi modesti, a fronte di alti costi e di inefficienze destinati a rendere il sistema intrinsecamente instabile e incapace di imporsi su piazze impegnative.

Nemmeno un prodotto Dop è di per sé sostenibile”, ha aggiunto il professor Giovanni Belletti del Dipartimento di Economia e Management dell’Università di Firenze. Affinchè lo sia, sono necessari anche un forte legame col territorio e le sue risorse, un legame pure con la storia e l’identità locali e una dimensione collettiva del prodotto, ovvero che la produzione nasca da una conoscenza condivisa. In altre parole, qualità intrinseca e tipicità sostenibile non sempre vanno a braccetto. Non a caso, secondo un sondaggio condotto in Italia dal gruppo gdo tedesco Penny, per avere in scaffale prodotti sostenibili la compagnia dovrebbe imporre, ad esempio, rincari del 100% sui wurstel, del 70% sulla mozzarella e del 31% sullo yogurt. In altre parole, la sostenibilità oltre a un valore ha un costo che qualcuno deve pagare. O almeno saper spiegare al consumatore.

A legare i due interventi, quello di Fabio del Bravo di Ismea, che ha illustrato il rapporto (qui la versione integrale) su “La Toscana delle Dop e delle IGP”.

Il quadro che ne emerge, come detto, è di una realtà imponente e promettente, ma fragile.

La regione ha una superficie agricola coltivata pari a 612.576 ettari, destinata principalmente alle foraggere (dato, ammettiamolo, inquietante) seguite dai cereali, dalle olive da tavola e da olio e dalla vite da vino. Il valore della produzione raggiunge nel 2022 i 3,6 miliardi di euro (+17%). Il vino è il comparto decisamente più rilevante in termini di valore, seguito nell’ordine dal frumento duro, carni avicole, latte ovicaprino, carni suine e olio. Al netto della superficie destinata a vigneti, la superficie agricola impiegata per le produzioni DOP e IGP alimentari rappresenta il 14% di quella totale regionale rimanente e il 30% se rapportata alla superficie regionale dei settori propri delle IG. La Toscana delle DOP e IGP alimentari aveva un valore, nel 2021, pari a 1.361 milioni di euro (+18,6% su base annua).

E’ inoltre la prima regione per valore nella produzione di olio IG, seguita dalla Puglia e dalla Sicilia, con una quota del 32% sul valore nazionale del comparto, grazie al valore generato dall’olio Toscano Igp. Questo, con 28 milioni di euro, rientra tra i prodotti che danno il maggior contributo alla produzione regionale assieme ai Cantucci Toscani IGP (37 mln di euro), il Prosciutto Toscano DOP (33 mln di euro), il Pecorino Toscano DOP (32 mln di euro), il Vitellone Bianco dell’Appennino Centrale (17 mln di euro) e la Finocchiona IGP (13 mln di euro), prodotti che rappresentano quindi il 90% del valore del comparto regionale. Curiosità: segue, a grande distanza, il Lardo di Colonnata IGP con 3,2 milioni di valore alla produzione. Ad eccezione dei primi 13 prodotti IG in “classifica”, tutte le altre denominazioni hanno un valore inferiore a 1 milione di euro, altro dato che rivela una certa debolezza del sistema.

A fronte di un export complessivo del settore agroalimentare pari a circa 3 miliardi euro, le esportazioni di food toscano a IG hanno raggiunto quota 91 milioni nel 2021, con un +34% su base annua e oltre il 70% dal 2017.  Le IG che trainano l’export sono l’Olio Toscano IGP, il Prosciutto Toscano DOP e i Cantucci Toscani IGP, per un totale complessivo pari all’86%. I principali mercati europei di destinazione delle denominazioni risultano essere la Germania e Paesi Bassi, mentre a livello extra-UE principalmente USA, Regno Unito, Canada e Giappone.

Il 2022 è stato segnato però da una crescita della spesa agroalimentare inferiore all’inflazione e da un aumento della grande distribuzione rispetto alla vendita al dettaglio tradizionale. In GDO la categoria dei formaggi IG conferma la leadership in termini di valore venduto (41,2% sul totale), seguita dal vino (33,7%) e dai prodotti a base di carne (19,7%).

La formula del Buy Food cerca da qualche anno di cavalcare queste tendenze, agevolando il contatto diretto tra aziende toscane selezionate con bandi appositi e buyer stranieri scelti in base a precise referenze e aree di provenienza. In questa edizione erano 50 i buyers provenienti da 20 paesi esteri (molti dal Far East, Usa e Canada) e 68 i produttori, in rappresentanza di 307 prodotti afferenti a 17 Dop e Igp, dei quali 102 biologici e 66 Pat (Produzioni agricole tradizionali, una sorta di “anticamera” del riconoscimento a Dop o Igp).

Risultati? Sebbene al termine della manifestazione i partecipanti siano stati  restii a rivelare il volume e l’effettiva entità degli affari conclusi, il sondaggio condotto dalla Regione a conclusione dell’edizione 2022 rivela che, almeno in termini di soddisfazione, il meccanismo funziona: l’anno scorso il 74% delle trattative ha avuto un seguito dopo la chiusura dell’evento e che nel 56,3% dei casi è stato concluso un accordo commerciale.