di ANDREA PETRINI
Barbera Sannio DOP 2021: la Camaiola è l’uva autoctona del Beneventano a lungo furbescamente chiamata “Barbera del Sannio”. Tra anfora e acciaio Monserrato 1973 ne ricava un vino eccellente.
Organizzando Beviamoci Sud Roma, la manifestazione dedicata alle eccellenze vitivinicole del Meridione, mi sono accorto di quanto, nel tempo, i viticoltori del Sannio abbiano investito sia in comunicazione che in miglioramento della qualità.
Tra quelli un posto importante lo occupa Monserrato 1973, azienda che nasce appunto nel 1973 ai piedi del Monte Serrato per volontà del Cavalier Francesco Zecchina, costruttore napoletano appassionato di vini.
Su una superficie di circa 60 ettari furono piantati allora tabacco (coltura molto fiorente nell’area tra gli anni ’50 e gli ’80), ulivi e una piccolo vigneto destinato a lungo all’autoconsumo.
Grazie a Lucio Murena, nipote di Francesco, ora si sta vivendo però una seconda giovinezza: dopo un generale riassetto, l’azienda è oggi totalmente biologica e punta a trasformarsi in un sistema a ciclo chiuso, come le antiche fattorie, dove si coltivava e sio trasformava internamente quasi tutto ciò che si produceva.
Sui 14 ettari di vigne vengono coltivati solo vitigni autoctoni: Falanghina, Aglianico, Piedirosso e Camaiola, un tempo detta “Barbera del Sannio“.
E tra i vini aziendali di Monserrato 1973 che ho avuto il piacere di degustare una menzione speciale, oltre al Levata (una Falanghina in purezza dai tratti mediterranei), va proprio al Barbera Sannio DOP 2021, che per me è tato un autentico “coup de cœur”.
La storia del nome è a dir poco curiosa.
Il Camaiola, varietà da pochissimo iscritta nel Registro nazionale della varietà di vite da vino, è stato per tantissimo tempo chiamato Barbera del Sannio pur non avendo nulla a che vedere con la varietà piemontese. Una confusione, questa, che ha origine a Castelvenere dove, soprattutto negli anni ’70, un po’ per combattere i vuoti lasciati dalla filossera e un po’ per andare incontro alle nuove tendenze, ci fu una invasione di vitigni provenienti da altri territori. Il che, inevitabilmente, creò problemi di esatto riconoscimento delle uve, delle classificazioni e dei nomi delle singole varietà. Siccome la Barbera all’epoca era molto conosciuta sul mercato italiano, si pensò bene, un po’ furbescamente, di darne il nome all’anonimo vitigno di Castelvenere, cercando in questo modo di piazzarlo meglio sul mercato. La Barbera diventa quindi Barbera del Beneventano IGT e poi nel 1997 conquista la doc Sannio. Oggi è ormai chiaro che le due specie non hanno nulla in comune, sebbene anche la Camaiola abbia un colore intenso, dai profumi di frutta rossa succosa e scarso potere tannico.
In nostro vino è vinificato in acciaio e affinato per 8 mesi sia in anfora sia in acciaio. Di esso, ciò che mi ha colpito sono stati la sua apparente semplicità unita alla sua capacità di costituire una sorta di jolly gastronomico.
Di color rosso tendente al violaceo, è puro varietale grazie ad un frutto dolce e succoso dal primo approccio con profumi di ciliegia, mirtillo e prugna secca, cui si aggiungono note scure di rabarbaro, eucalipto, pepe rosa e peonia. Il sorso è intenso e godurioso: la limitata trama tannica non inchioda il palato e lo lascia irrorato di massa fruttata, ben sostenuto dalla vena acida che agevola la beva.
Un vino nato per bere una volta tanto “senza pensieri”, che suggerirei a tutti i wine bar di inserire nella mescita alla voce “qualità”.
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