di CARLO MACCHI
Cosa può esserci “dentro” e dietro a una bottiglia di Chianti Classico docg venduta in gdo a meno di quattro euro? Il nostro l’ha assaggiato e valutato anche economicamente. Con risultati agrodolci.

 

Tempo fa pubblicai (qui) un breve articolo su un Chianti Classico venduto a 2.99 euro (avete letto bene!) in uno di quelli che vengono definiti hard discount, in Toscana, per la precisione a Poggibonsi. Sono tornato qualche giorno fa in quel supermercato e ho trovato lo stesso Chianti Classico, non più scontato, a “ben” 3.99 euro a bottiglia.

Non ho resistito e l’ho comprato, per capire cosa può esserci in una bottiglia che viene proposta mediamente al 75% in meno del prezzo di un normale Chianti Classico in enoteca.

Prima di assaggiarlo ho però ammirato la confezione: etichetta e retroetichetta stampata su carta di discreto valore, tappo di sughero di buone dimensioni e un vetro per niente leggero, visto che il contenitore vuoto pesa ben 620 grammi! Non ho potuto neanche fare a meno di fare due conti in tasca all’imbottigliatore (tal  V.S. Srl di Lamporecchio, che ha però imbottigliato nello stabilimento di San Casciano Val di Pesa), considerando che tra tappo, etichetta, retroetichetta, fascetta e bottiglia partiva minimo un euro. Qualcuno obietterà che quando si parla di grossi quantitativi i costi diminuiscono notevolmente, ma un euro può essere preso come prezzo medio basso per il “vestito” di una bottiglia.

Ma veniamo al vino.

Color rubino brillante quasi porpora, frutto piuttosto intenso con note di frutto rosso maturo, quasi passito e sentori vegetali. Naso non certo difettato anzi, magari potremmo definirlo molto poco tipico per dei sentori di frutta quasi passita al naso che ricordano, tanto per farci capire meglio,  il Valpolicella Ripasso. Bocca di medio corpo, con acidità presente. Il vino gira velocemente verso sentori amari, poco piacevoli. E’ abbastanza persistente. Per la cronaca sviluppa 13.5°

Torno un attimo alla bottiglia per sottolineare un’altra cosa: la retroetichetta in tedesco! Aldilà di capire come sia possibile che in un supermercato che si trova a 30 km dal luogo di imbottigliamento si trovi un vino con etichetta tedesca, spero che la logistica della LIDL preveda un magazzino in zona, altrimenti questa bottiglia di Chianti Classico 2018 ha fatto quasi il giro del mondo (con conseguente consumo di carburante e spese relative) prima di arrivare nelle mie mani.

Torniamo al contenuto: siamo di fronte ad un vino certamente non cattivo: anzi, se proprio volessimo dargli un voto potrebbe essere attorno ai 70 punti. Questa bottiglia ha però ha in sè tutte le contraddizioni di una denominazione famosissima ma che non è ancora riuscita a dare un valore certo e stabile al proprio vino. Chi ci rimette in questo caso è sicuramente il produttore, che si trova costretto a vendere il suo prodotto (ripeto, non certo di bassissimo profilo) ad un prezzo che difficilmente può essere remunerativo. Se infatti proviamo ad andare a ritroso e togliendo il prezzo della confezione, del trasporto e il ricarico per la catena che lo distribuisce,  se va bene siamo attorno ai 200 euro al quintale per lo sfuso.

Magari diverse denominazioni sarebbero anche contente per un prezzo del genere, ma nel Chianti Classico, con costi di produzione sicuramente piuttosto alti, vendere a 200 euro al quintale è a rimessa.

Questa è, purtroppo, la tragedia che spesso sta dietro una normale bottiglia di vino e se nel Chianti Classico ci troviamo di fronte ad un grande numero di produttori-imbottigliatori è proprio perché è molto difficile sbarcare il lunario producendo e vendendo il vino sfuso.

 

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