di FEDERICO FORMIGNANI
Da Socrate a Cicerone: buona vita con l’amicizia. O forse aveva ragione Aristotele dicendo che “l’antidoto per cinquanta nemici è un amico”? L’inizio del nuovo anno è il momento ideale per una riflessione su un sentimento eterno, che nemmeno la scienza sa spiegare.

 

Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la vita per i propri amici”. Sono parole di Gesù. Totali, definitive, in carattere con le festività che ne ricordano la nascita. Gesù è vissuto dopo che i filosofi e precettori greci, nei secoli prima della sua venuta, avevano ampiamente discusso, discettato con passione e valide argomentazioni sul significato e sulla sostanza del termine “amicizia”. Dovrebbe essere un sentimento, questo, che sgorga dall’anima spontaneo, figlio diretto di una simpatia istintiva e nelle intenzioni dei protagonisti destinato a durare in eterno. Sappiamo che non è così, purtroppo. A volte basta un niente per incrinare un’amicizia: un torto subito che ci obnubila la mente perché inaspettato da chi godeva della nostra stima, oppure parole pronunciate con leggerezza e gran danno che ci sorprendono, amareggiano.

Viene in aiuto il pensiero di Pitagora, il matematico greco di Crotone: “Le colpe di un amico scrivile nella sabbia” ossia dimentica, perdona. Il vocabolario tratteggia l’amicizia in questo modo: “…reciproco affetto, costante e operoso, tra persona e persona, nato da una scelta che tiene conto della conformità dei voleri o dei caratteri e da una prolungata consuetudine”. Affetto, voleri, caratteri, consuetudine, sono i termini che emergono.

Questi e molti altri sono stati oggetto di profonde riflessioni da parte dei filosofi della Grecia antica. Il più fortunato fra questi pare sia stato Platone (428-348 a.C.) che ha goduto degli insegnamenti di Socrate (470-399 a.C.) riversati poi sull’allievo Aristotele (384-322 a.C.). Sono loro tre ad aver edificato le basi del pensiero filosofico dell’occidente che, un paio di secoli dopo, verrà ripreso da Marco Tullio Cicerone (106-43 a.C.) principe d’eloquenza e di lettere, cui si deve il famoso dialogo di carattere filosofico “de Amicitia”.

Socrate spiega che non esiste nulla meglio dell’amicizia, pur non riuscendo a capire come questo sentimento possa nascere. Non è collegabile all’amore, poiché un amore non corrisposto può al limite ingenerare persino odio. Prima ancora, era stato Omero a ricordare che “dio conduce sempre il simile verso il simile”. Ciò suggerirebbe che un uomo giusto non possa essere amico che di una persona che non nutra i suoi stessi sentimenti, non potrebbe mai fare amicizia con una persona malvagia. Concetto inoppugnabile se non per il fatto che un’amicizia fra simili non dà alcun risultato pratico: se uno è già buono del suo, che se ne fa di un’altra bontà come la sua? Socrate va ancora più in là: forse aveva ragione Esiodo nel sostenere che si possa essere ostili nei confronti dei propri simili: per invidia, perché se ne teme la concorrenza avendo identiche posizioni mentali e comportamentali. Più logico che gli opposti si attraggano, conclude il filosofo greco: “Il secco cerca l’umido, il freddo il caldo, il vuoto il pieno” anche se qualcosa di ambiguo permane; al punto che il giusto possa essere amico dell’ingiusto, tornando quindi ai dubbi di partenza.

La vita non è niente senza l’amicizia”, sentenzia Cicerone, ma poi precisa che esistono due forme d’amicizia: la prima è quella fondata sulla virtus ed è caratterizzata dalla completa condivisione spirituale; la seconda è un’amicizia apparente; simile a quella vera ma che al contrario persegue l’utilitas, il tornaconto personale. In conclusione, chi aspira al bene e al bello non è in sé né buono né cattivo, poiché se possedesse già in sé il bene non desidererebbe di possederlo. Tuttavia, osserva ancora Socrate, gli uomini scelgono il bene perché vi è il male, e se il male non esistesse non avrebbe senso ricercare il bene.

Certezze, dubbi, considerazioni antiche e attuali che possono aiutare a capire, nelle difficoltà sempre crescenti della vita di tutti i giorni, come sia profondamente vera l’asserzione di Aristotele: “L’antidoto per cinquanta nemici è un amico”.