di FEDERICO FORMIGNANI
Non fu Brillat-Savarin il creatore della celebre massima “you are what you eat“, ma il da Vinci nel Codice Atlantico. Il genio si interessò infatti parecchio ai piaceri della cucina e alle relative coreografie. Eccone un gustoso excursus.
In quanto riconosciuto genio universale, Leonardo da Vinci è stato studiato, indagato e – ove non sia stato possibile basarsi su documenti arrivati sino a noi – immaginato e sognato, di volta in volta, inventore e suggeritore inesauribile di molteplici situazioni legate alla vita dei suoi tempi e di riflesso a quelli attuali. Pare quasi che considerarlo ingegnere sommo e artista inarrivabile sia stato e sia tuttora troppo semplice e riduttivo. Per tale motivo lo si trova attore multidisciplinare: invenzioni, studi, progetti.
Perchè allora non parlare anche dei cibi del suo tempo (pare che nei suoi ultimi anni Leonardo fosse vegetariano) e della preparazione degli eventi gastronomici per i quali era giustamente rinomato (i famosi “Banchetti”), che in epoca rinascimentale contagiavano un po’ tutte le Corti europee?
Diceva Leonardo: “…la vita dell’omo si fa delle cose mangiate”. In altre parole, siamo quello che mangiamo, massima desunta dal foglio 393r del Codice Atlantico. Ancora: per rimarcare la sua costante vicinanza ai cibi, alle bevande, alle cucine fumose dell’epoca, per finire con le tavole imbandite, Leonardo elargiva consigli pratici come questo: “…se voi star sano, osserva questa norma: non mangiar sanza voglia e cena leve, mastica bene e quel che in te riceve, sia ben cotto e di semplice forma”. Consigli semplici e giudiziosi per apprezzare al meglio i piaceri della tavola; quegli stessi consigli che un paio di secoli prima, Bonvesin de la Riva aveva dato ai commensali della sua epoca, esortandoli principalmente a corrette posture una volta seduti al desco e adeguati comportamenti nel consumo delle vivande. Con tutta probabilità, Leonardo conosceva bene le “esortazioni” di Bonvesin.
C’è un piccolo libro (“A tavola con Leonardo“), curato dall’amico Guido Stecchi, che è insieme omaggio all’inventiva del genio e rivisitazione dei cibi che nel Rinascimento venivano preparati ed ammanniti ai potenti dell’epoca. Stecchi, da perfetto giornalista-micologo-cuoco-gastronomo qual è sempre stato, doti che ha saputo trasporre nelle aule universitarie, non nasconde che Leonardo sia stato, per i regnanti che lo hanno accolto nelle rispettive Corti (Ludovico il Moro a Milano e Francesco I° in Francia) principalmente un regista accorto, uno scenografo fantasioso e uno sceneggiatore impareggiabile dei banchetti che di frequente offrivano ai loro ospiti. Quasi dimenticandosi come Leonardo fosse un sommo pittore, un grande architetto, un ingegnere di illimitate risorse creative. Nell’epoca rinascimentale dei banchetti di Leonardo, due sono rimasti famosi: quello di Tortona, per il matrimonio fra Gian Galeazzo Sforza e Isabella d’Aragona, e l’altro della Festa del Paradiso, a Milano. Molte delle esperienze culinarie di Leonardo sono state favorite dal fatto di aver visto all’opera Stefano de’ Rossi, figlio del famoso Maestro Martino di Como, considerato il primo grande cuoco del Rinascimento.
Leonardo prendeva molto sul serio la cucina e il mondo che le gravitava attorno. A chi gli ricordava che le Corti erano spesso frequentate “anche” da poeti cui veniva posta sul capo la corona d’alloro, il genio ribatteva, sarcastico, che “…il posto dell’alloro era tra la salsiccia e il tordo”.
Quali erano dunque i piatti più apprezzati della cucina del Rinascimento?
Fra le minestre: zanzarelli (oggi passatelli) di Maestro Martino con farina di marroni del Mugello; dello stesso cuoco: torta di farro con “ventrescha di porcho” e torta di miglio con fagioli dell’occhio e erbe di campo, che molto piacevano a Leonardo. Maestro Martino era prodigo di ricette; sempre tra i primi, troviamo: “menestra di pernice a brodo lardero”; “riso con lacte de mandole”; “menestra de tripe e frictelle piene de vento” (gnocchi fritti). Se però è di scena il risotto, è chiaro che questo “vole esser giallo de zafrano”. Il famoso Banchetto di Tortona prevedeva come piatto forte: “duy vitelli cocti pieni de pernice e fasani cocti”, oltre a “pastello secco de cervo o capriolo” e “columbi con limoncini confecti”. Poi c’era la fresca “herbolata de maio” (erbette novelle, spinaci, borragine, rosolacci – ovvero foglie giovani di papavero rosso – insalatine novelle con denti di cane, petali di rose, zenzero fresco. E per finire? Dolce di mandorle, pomeranze (arance) con frutti di stagione e brindisi con ippocrasso (vino alle rose, aromatizzato con erbe e spezie). Cucina “firmata” dal grande Maestro Martino per l’immenso Leonardo da Vinci.