Che in rete si pubblichino gratis le notizie che la gente (e pure volentieri) dà gratis, è noto. Ma per i giornalisti cercare e pubblicare notizie è un lavoro. Quindi da oggi, per quello che mi riguarda, stop!

 

Sembra un segreto di Pulcinella ed in effetti lo è, se si pensa al dibattito in corso da mesi e alle norme a difesa del copyright dai giganti nel web. Lo è anche se, più in piccolo, si pensa all’arcinota questione degli utenti che, involontariamente e inconsapevolmente, via social aiutano gratis le grandi compagnie a far circolare le informazioni commerciali e non, prestandosi a fare da volano (in)volontario alla propaganda digitale.

Nel sistema è finita da tempo stritolata, quindi con possibilità di salvezza prossima allo zero, la stampa tradizionale, incluse le autolesionistiche edizioni on line che paiono pensate per diffondere gratuitamente notizie che la gente dovrebbe pagare per leggere su carta.

Il problema ha così investito poi tutte le categorie “a valle” dell’industria editoriale, inclusa quella giornalistica.

Quest’ultima, però, in modo assai più subdolo e con conseguenze molto meno appariscenti.

Tutti o quasi, infatti, sono in rete e sui social. Giornalisti compresi.

Ci sono quelli che sul web – si tratti di gestire testate on line, blog o account personali – sono e si comportano sempre da giornalisti. Ci sono quelli che invece si sdoppiano, provando a tenere separate (impresa improba e incerta) le due cose. Infine ci sono quelli che sul lavoro (quindi sui giornali, anche web) sono giornalisti e in rete semplici utenti, comportandosi di conseguenza. Tutto legittimo, sia chiaro, finchè ci si attiene alle regole.

I giornalisti sono però persone che, un po’ per loro  esigenze di visibilità e un po’ perchè, considerato il ruolo, tendono ad essere più in vista e ad avere un certo seguito, costituiscono il tramite ideale per la diffusione di “notizie” in senso digitale, cioè tutto: vere, false, manipolate, marchette, reclame, annunci di ogni tipo.

E fin qui, di nuovo, nulla da fare: prendere qualche schizzo fa parte del gioco.

C’è però anche un secondo livello. Molto più subdolo, come dicevo.

Visto il suo imprinting professionale, è infatti difficile che un giornalista sappia resistere alla tentazione di “dare”, anche e soprattutto on line, una notizia di cui venga a conoscenza. Nel 90% dei casi, lo fa. Un po’ per istinto, un po’ per dovere deontologico, un po’ per vanità. Anche quando in rete non sta lavorando.

Tradotto in termini pratici, se ci si pensa bene, così agendo egli produce informazione gratuita, sebbene la sua figura si individui proprio per una “professionalità” elemento integrante della quale sarebbe la redditività.

In altre parole ancora, il giornalismo è un lavoro e quindi è o sarebbe implicito che per svolgerlo si venisse pagati.

Invece – ed eccoci al punto – succede spesso anche a me di regalare alla rete notizie, contenuti, ricerche, inchieste e informazioni che finiscono nel grande calderone gratuito del web, ove chiunque può prenderle, pascersene, copiarle, appropriarsene, ripubblicarle. In apparenza è una svolta (“sai che visibilità…”), in realtà è un autogol.

Ho provato a rifletterci.

Se ho una notizia, la do al giornale che mi paga o alla testata on line di cui sono titolare o direttore. Ma fuori da queste circostanze, non vedo perchè dovrei regalarla, come io stesso ho largamente fatto finora.

Ad esempio Alta-fedelta.info, che state leggendo, in quasi dieci anni ha prodotto migliaia di articoli. Siccome non c’è un rigo di pubblicità, ciò che esce è uscito non ha prodotto alcun gettito:  tutto gratuito.

Ma posso permettermelo? E, anche se potessi, sarebbe giusto? Risposta: no.

Certo, nessuno obbliga me e i miei collaboratori a scrivere e a pubblicare.

Ma una cosa sono i commenti o i resoconti. Un’altra le informazioni fresche. Le informazioni date da un giornalista, cioè le informazioni vere, hanno un valore. Anche, per non dire soprattutto, economico.

Quindi, d’ora in avanti, stop: niente più notizie fresche. Se le volete, cari Facebook, Google, etc pagatemi.

Corvo Digitale non avrai (più) i miei testi.