Per qualcuno a ferragosto scadevano i termini. E quindi da parte di tanti colleghi mi sono arrivate richieste di chiarimento. Ma l’obbligo non c’è. Anche se la questione non è affatto chiara: troppi i punti rimasti in sospeso. Eccone alcuni.
Sono passati circa diciotto mesi dalla “grande paura” che – alla luce dell’articolo 3, comma 5, del decreto-legge 13 agosto 2011 n. 138, poi convertito con modificazioni dalla legge 14 settembre 2011 n. 148, sulla riforma degli ordinamenti professionali – percorse trasversalmente la categoria dei giornalisti. Facendole balenare davanti agli occhi la terrificante (ma perchè, poi?) prospettiva dell’introduzione di una “assicurazione professionale obbligatoria“.
Tema al quale ho dedicato qui, su Alta Fedeltà, numerosi post (per trovarli basta cercare “assicurazione giornalisti” sul motore di ricerca interno, in alto a destra nella pagina).
Il 7/8/12 venne emanato il Dpr contenente il regolamento applicativo della legge, destinata a entrare in vigore un anno dopo la pubblicazione della legge stessa sulla Gazzetta Ufficiale, ovvero il 15/8/13. Insomma, ieri o quasi.
Da ciò le copiose richieste di chiarimento o di consigli sul da farsi (ma io non sono un tecnico, sono solo un giornalista!) ricevute in questi giorni da parte di parecchi colleghi.
Non sto a tornare sulle questioni teoriche, per le quali rimando ai link sopra.
Mi limito a ribadire che, allo stato, per i giornalisti l’assicurazione professionale non è obbligatoria. Quindi nessun allarme.
Chiarito questo, devo aggiungere però che le ragioni del mancato obbligo sono a dir poco opinabili.
Ed entrano a far parte dell’intricato quanto appannato ordinamento, o sistema di regole, che in Italia sovraintende alla figura del libero professionista dell’informazione. Una specie di cane che si morde la coda a forza di contraddizioni, incongruenze, omissioni, zone d’ombra, interpretazioni capziose o di comodo, resistenze corporative, ignoranza di massa.
Tutto nasce da tre assunti e una presunzione:
– la norma riguarda solo le “professioni regolamentate“, cioè dotate di un albo;
– è “professionista” chi esercita dette professioni;
– la polizza deve coprire i danni “derivanti al cliente dall’esercizio dell’attività professionale” (art. 5) e (art. 3, comma 5, lett. e del DL 138/2011) in quanto è appunto è finalizzata alla “tutela del cliente”;
– parrebbe pertanto esserci una necessaria correlazione fra la copertura assicurativa e sussistenza di un rapporto di clientela tra il professionista e il terzo.
E siccome la relazione illustrativa (qui) al regolamento escludeva dall’obbligo i professionisti che operano nell’ambito di un rapporto di lavoro dipendente, lasciando all’interprete, negli altri casi, “di valutare quando vi sia o no un rapporto di clientela, tale da imporre l’obbligo di assicurazione”, se ne è “interpretato” che il giornalisti erano esenti in quanto “i giornalisti non hanno clienti” (cioè dipendono da un editore). “Si crea tra loro e l’editore – si legge sul sito dell’OdG – un contratto di fatto perfino con l’offerta di un servizio da parte del collaboratore, contratto che si perfeziona con l’accettazione e la pubblicazione dello stesso (è questo il parere dell’ufficio legislativo del Ministero della Giustizia)“.
Da qui i peana per lo scampato pericolo.
Un quadro, però, a dir poco confuso che mi fa sorgere spontaneamente alcune domande:
1) per professionista la legge intende qualcuno che esercita la libera professione (il freelance) o il semplice iscritto a un albo professionale (tipo il contrattualizzato o il giornalista “in sonno”)?
2) nel primo caso, come si fa a sostenere che non ha “clienti“? Il libero professionista ha, per definizione, una molteplicità di committenti, cioè di clienti. Per i giornalisti freelance, a tutti gli effetti i clienti sono gli editori.
3) ma che vuol dire, allora, “esercitare la professione“? I giornalisti autonomi, privi però di partita iva (collaboratori, abusivi, etc) o con partita iva falsa, per non dire di chi non è iscritto all’Inpgi, senza dubbio formalmente “esercitano”: ma si può sostenere che non abbiano “clienti” e siano quindi esenti?
4) è concepibile, nel quadro istituzionale nazionale, l’esistenza di una categoria che riunisca permanentemente figure tanto sfuggenti e differenziate da rendere arduo stabilire chi sia sottoposto all’obbligo assicurativo?
5) ferma, temporaneamente, l’esenzione formale di tutti i giornalisti, perchè l’OdG ha stipulato convenzioni per dare comunque ai propri iscritti la possibilità di assicurarsi? Forse perchè (giustamente) si nutrono dubbi sostanziali sulla reale esentabilità dell’intera categoria?
6) Fino a quando l’Ue farà finta di non vedere la palese incongruenza e che succederà quando il prosciutto cadrà dagli occhi?
7) L’argomento dell’esistenza di un “contratto di fatto” tra editore e giornalista che renderebbe esente il secondo dall’obbligo assicurativo non è, a dir poco, imbarazzante? E’ proprio quel contratto, infatti, che sancisce la nascita del rapporto professionale tra il giornalista autonomo e la controparte, a far diventare questa “cliente” del primo.
Morale: i giornalisti liberi professionisti e le istituzioni che li rappresentano (chi? Beh, questa è un’altra bella domanda: l’OdG di sicuro, quanto al resto…), anzichè tirare un respiro di sollievo per il presunto scampato pericolo (c’è già il precedente della baggianata dell’esenzione inpgi che grida vendetta e reclama la testa dei responsabili) dovrebbero invece prendere coscienza del fatto che, legalmente obbligatoria o meno, la questione della loro copertura assicurativa è una faccenda tremendamente seria. La missione non è dunque “dribblare” all’infinito l’obbligo, ma pilotare le cose affinchè la copertura sia un paracadute reale, in grado di tessere attorno all’attività del giornalista una serie di reti di sicurezza. Per proteggerlo dalla responsabilità civile verso i terzi e dagli altri millanta rischi che l’esercizio in forma autonoma della professione comporta.
Buona abbronzatura (o ciò che ne rimane) a tutti.