VIAGGI&PERSONAGGI, di Federico Formignani
Mentre tutti sguazzano in mare e, purtroppo, il mondo arde di bellicose rivendicazioni territoriali, cosa di meglio che raccontare la storia dell’Isola Ferdinandea, emersa e affondata nel 1831 e da allora destinata alla sovranità di chi per primo ci porrà di nuovo piede?

 

“…Da qui, guardando il mare, già si intuisce l’Africa”. Lo sguardo perso nell’orizzonte blu, Vincenzo – che promuove per contratto le bellezze di Mazara del Vallo e della Sicilia in genere e oggi funge da mio accompagnatore – aggiunge insospettabili slanci lirici dicendo che il calore che l’isola sprigiona, d’estate, è una coperta densa e pastosa che va dall’entroterra al Canale di Sicilia; facile concludere che il suo pensiero corra veloce sulle onde per approdare sulle rive tunisine che molto hanno in comune con questa. Poi Vincenzo spiega che a mezza via, tra Mazara e Pantelleria, c’è la secca del Banco Graham che nasconde, ad appena sette metri sotto il livello del mare, il cono sommitale dell’isola Ferdinandea, comparsa e scomparsa – per i capricci di un vulcano sottomarino – nell’ormai lontano 1831, quando Mazara e l’intera Sicilia erano sotto il dominio dei Borboni.

Deve essere stato un anno davvero movimentato quel 1831, quando dal mare è nata un’isola di discrete dimensioni, spinta in superficie dalle eruzioni a catena di un vulcano sottomarino, sarebbe divenuta famosa in Europa perché oggetto di immediate dispute politiche tra gli stati che ne vantavano, a vario titolo, la proprietà. Non è difficile capirne le ragioni: potenze quali l’Inghilterra e la Francia avrebbero avuto a disposizione una base strategica importante, sia per i traffici marittimi che per il controllo militare del tratto di mare tra Sicilia e Africa. Ma avrebbero dovuto vedersela con il Regno Borbonico e con il re Ferdinando II, dal quale l’isola avrebbe poi preso il nome. Nome più volte cambiato per via dei vessilli che di volta in volta venivano conficcati sulvulcano, a certificarne l’appartenenza.

I capitani Trifiletti e Corrao che in quei giorni di luglio navigavano in zona, dopo aver osservato un getto d’acqua e colonne di fumo che si elevavano sino a un’altezza di 550 metri circa, annotano:  “…il 16 luglio si vide emergere la testa di un vulcano in piena eruzione e il 18 lo stesso capitano Corrao osservò il cono del vulcano che sporgeva dal mare. Presto si vide emergere un’isoletta che crebbe sempre in eruzione e raggiunse, il 4 agosto, una base di tre miglia di circonferenza e un’altezza di sessanta metri, con due prominenze: una da levante e una da tramontana, a guisa di due montagne legate insieme, con due laghetti bollenti”. Nascono subito le rivendicazioni. Dapprima gli inglesi con l’ammiraglio Percival Otham che navigava nei paraggi; dopo aver valutato il da farsi, il 24 agosto invia sul posto il capitano Jenhouse che vi pianta la bandiera britannica e dà all’isola il nome di Graham; nella cartografia della zona, infatti, il banco con questo nome è ancor oggi quello sottomarino che ospita la ex isola Ferdinandea. Naturalmente i siciliani del Regno delle due Sicilie e la Casa Borbonica dissentono e propongono di chiamare l’isola col nome del capitano Corrao. Poi è la volta della Francia che il 26 settembre invia in zona il brigantino La Fleche, al comando del capitano di corvetta Jean La Pierre; ospiti del naviglio, il geologo Constant Prévost e il pittore Edmond Joinville, che disegnerà il profilo dell’isola; in concreto, in base ai rilievi effettuati dai francesi, si viene a scoprire che l’isola non avrà vita lunga; si sta sfaldando poco per volta e si affrettano quindi a battezzarla col nome di Julia, con riferimento al mese in cui è sorta dalle acque, piantando sulla cima il drapeau bianco-rosso-blu. Infine è il Re Ferdinando a muoversi: manda sul posto la corvetta bombardiera Etna, al comando del capitano Corrao, che prende possesso dell’isoletta rimpiazzando il vessillo francese con la bandiera borbonica. Per completare il quadro dei litigi, ecco che rientrano in scena gli inglesi, con vivaci scaramucce tra Corrao e il capitano inglese Jenhouse, che quasi vengono alle mani.

Decisione finale: l’isola sarebbe stata giudicata una “insula in mari nata” appunto perché emersa dal mare; il primo a mettervi piede ne avrebbe potuto rivendicare la sovranità.

Da allora, l’isola scomparsa è meglio rimanga dove si trova: sotto il pelo dell’acqua, a sonnecchiare beata nelle calde acque (non solo per l’influenza dei vulcani sottomarini) del bel mare di Sicilia.