Cioè: il riso abbonda nella bocca degli stolti (e dei giornalisti). Lo snobismo ridanciano è uno dei mali endemici della categoria. Chi si sente di serie A sorride di chi crede di serie B. Finchè non scopre (tardi) che si è giornalisti, o no, a prescindere dal ramo.

Mi scrive un collega più che degno di stima e ottimo professionista: “Esco ora da un corso di formazione da 8 crediti presso (omissis). Appena sanno di cosa scrivo, ridono tutti. E’ stupendo“.
Il collega si occupa di ortofrutta. Sì, esatto: arance, zucchine, insalata, pomodori. Quelle cose che mangiamo tutti i giorni e i cui prezzi, qualità, modo di coltivazione, disponibilità sui mercati generano indignazioni popolari, psicosi a ondate, giornalate e inchieste tv. Nonchè giri di affari, speculazioni, fenomeni socioeconomici enormi.
Ma gli “altri” giornalisti, ridono. Pensano che occuparsi di Renzi, o di politica estera, o di nera, o di banche sia più alto, più vero, più serio. Ridono quando scoprono che qualcuno si occupa di informazione su cose diverse dalle loro. Le quali invece non sono niente affatto banali e niente affatto semplici. Solo che loro non lo sanno.
Lo stesso accade, nella declinazione accondiscendente, quando qualcuno dice di occuparsi di sport, o di auto, o di ristoranti, o di costume. O, più in generale, quando un cronista specializzato in qualcosa si rivolge a una platea di cronisti specializzati in un’altra o specializzati in niente, convinti che il mestiere – quello che si fa con le suole delle scarpe, l’ulcera in corpo, la sigaretta in bocca e blablabla – sia solo il loro. Tutti certi che la propria sia la specializzazione più importante o la più nobile. Insomma, solo loro lavorano sul serio, gli altri fanno finta.
La sfortuna però vuole che le vite professionali mutino. Non solo quelle degli autonomi, costretti per definizione a fare le acrobazie cercando di restare sul mercato del lavoro e di norma capaci (con grande sorpresa dei colleghi monotematici) di portare le notizie, passando con disinvoltura e uguale competenza dal frivolo al serio e viceversa, ma anche quelle degli stanziali.
E così capita – soprattutto in epoche di crisi e quindi di grande instabilità professionale, come questa – che il caposervizio del politico si trovi a fare il vicecaposervizio nella moda, l’ex redattore economico il vicedirettore gastronomico e la carampana della cultura la notista di gossip. Storie già viste mille volte, con puntuali conversioni sulla via di Damasco e goffi mea culpa a posteriori.
Nella mia carriera mi sono occupato di molte cose, dalle più serie alle più facete e dalle più locali alle più internazionali, secondo un percorso determinato più dalle circostanze che dalle scelte.
E ho imparato che, ante omnia, uno è giornalista. Se lo sai fare, riesci a occuparti bene di tutto, perchè hai l’elasticità mentale, l’ampiezza di vedute e l’esperienza che nessun iperspecialista potrà mai avere. Inclusa l’umiltà di chiedere se non sa e di documentarsi se non conosce.
Poi ci sono quelli che ridono perchè si sentono meglio, o più bravi o più ganzi.
E che poi frignano quando gli tolgono dalle mani il balocco. O lo stipendio.
Meditare, gente, meditare…