Il giochino ipocrita di affidare ai cacciatori il “contenimento” della fauna che danneggia l’agricoltura è il modo usato dalla politica per avere i loro voti, grazie al paravento burocratico che gabella un divertimento (interessato) per un pubblico servizio.

Secondo il Garzanti, “ungulati” è il “termine con il quale si indicano comunemente tutti i mammiferi caratterizzati da unghie a forma di zoccolo (elefante, cavallo, cervo, cinghiale, maiale, bue, pecora)“.
Secondo certi animalisti gli ungulati sono invece innocue bestiole che, come dei Robin Hood a quattro zampe, rubano all’uomo cattivo ciò che l’uomo cattivo ruba alla natura, cioè i suoi frutti.
Secondo gli agricoltori, gli ungulati sono quei maledetti cinghiali e i caprioli che, essendo stati lasciati proliferare per decenni senza controllo, oggi distruggono le loro colture.
Secondo politici e burocrati sono ufficialmente “un problema da gestire“, mentre in realtà sono un modo indiretto ma efficace per controllare voti e procacciarsi consenso.
Per i cacciatori, infine, gli ungulati sono selvaggina, cioè prede a cui sparare per diletto. Ma con l’alibi ipocrita delle “finalità di selezione“, cioè conto terzi, su mandato della pubblica amministrazione, per contenere il numero esorbitante degli animali in circolazione. E quindi, in definitiva, per rendere un servigio alla collettività, che dovrebbe pure ringraziarli per essersi divertiti.
E se questo è vero in Italia, lo è doppiamente in Toscana, dove il fenomeno è tracimante e il problema acutissimo.
Per dare un’idea delle proporzioni attingo al mio articolo pubblicato a primavera su “Civiltà del Bere“: nel 2015, nella sola provincia di Siena, circa mille incidenti stradali (il 75% del totale), alcuni dei quali mortali, sono stati causati dalla fauna selvatica. Per le aziende vinicole il danno oscilla tra il 5 e il 7% della produzione, cui si aggiungono i danni indiretti e i costi per il contenimento. In altri e più deboli settori del primario le cose vanno anche peggio: nuovi impianti brucati e distrutti, campi di cereali azzerati. In Toscana sono stimati ad oggi oltre 200mila cinghiali (massima densità per kmq in Europa e il quadruplo della media nazionale) e altrettanti caprioli.
A dicembre scorso la Regione, pressata da queste emergenze transitate ormai dall’ambito dell’economia a quelle della pubblica sicurezza, ha dovuto fare una “legge obbiettivo” ad hoc nel tentativo di arginare il disastro. Prevista la revisione delle norme, la definizione di aree vocate e non vocate, caccia per tutte le specie e per periodi più lunghi, possibilità delle aziende di gestire le catture sul proprio fondo, creazione di una filiera commerciale delle carni selvatiche.
Ma è tutto fermo: la burocrazia e le lobby imperversano, gli agricoltori protestano. Ultimi della serie, ieri, i pur potenti viticoltori di Avito, il consorzio dei consorzi toscani dei vini dop e igp.
Come è possibile tutto ciò?
Semplice.
I cinghiali sono il cerchio, o se volete la scusa, che tiene insieme una botte fatta con le doghe dei vari interessi e piena di vino ambitissimo: se rimuovo il ferro, il tino va in pezzi. E questo non lo vuole quasi nessuno.
La politica esprime la pubblica amministrazione e i suoi vertici, la pubblica amministrazione ha i suoi uffici burocratici (nel caso della caccia le ATC, ambiti territoriali di caccia) ed esprime il personale che li presidia, gli uffici burocratici interpretano e applicano le norme, le norme affidano a squadre organizzate di cacciatori volontari il compito di “ripulire” dagli ungulati le aree infestate, ogni squadra ha zone di cui è gelosissima e su cui ha pretese di caccia esclusiva. Insomma, l’abbattimento dei perniciosi cinghiali è affidato al volontariato di chi pratica lo sport preferito: davvero si pensa che costui voglia far piazza pulita del proprio oggetto del desiderio? Si è mai visto il nuotatore che svuota la piscina o il golfista che dà il diserbante al green?
Beneficiati di tanta libertà d’azione e di “selezione”, inclusa la possibilità di andare quando vogliono a cacciare nei terreni altrui, senza alcuna autorizzazione nè ostacolo, ammazzando quanto e cosa desiderano in modo che la “necessità” di essere richiamati non manchi mai, e magari pasturando sul posto (ci sono i video) la fauna medesima allo scopo di trattenerla, abituarla e incrementarla così poi da poterla abbattere in maggiore quantità e con maggiore divertimento, i cacciatori sono ben riconoscenti verso chi gli concede tali privilegi. E lo dimostrano con il voto, fedelissimo, loro e delle loro famiglie.
E’ una cosa che tutti sanno e che tutti, per cointeresse o quieto vivere, ipocritamente tacciono.
Ecco perchè certe norme di dettaglio (definizione delle aree vocate, modalità della gestione degli abbattimenti diretti da parte dei proprietari dei terreni) della “Legge obbiettivo” stentano da mesi ad essere definite, tra ricorsi amministrativi, cavilli burocratici e sentenze varie.
Intanto i cinghiali prosperano. E il sistema balla con loro.
Leggo che l’assessore regionale all’Agricoltura, Marco Remaschi, ha dichiarato all’Ansa che “…la legge darà buoni risultati già quest’anno. Nelle province dove la norma è partita sta già producendo effetti positivi. In provincia di Firenze, ad esempio, con la caccia in selezione sono stati già abbattuti 5-600 cinghiali. Ancora più avanti è quella a caprioli e daini. Anche a Lucca siamo partiti con i primi 50-60 capi abbattuti in selezione, e a Pisa siamo oltre 300. Ci sono poi buoni risultati anche a Siena. Problematiche, ma che sono fase di risoluzione, ci sono invece nel territorio di Livorno e in quello di Arezzo. Anche a Grosseto siamo indietro“.
Vorremmo condividere il suo ottimismo.
Se su 200mila cinghiali, insomma, in sei mesi ne sono stati “neutralizzati” un migliaio, coraggio: ne mancano solo 199.000.
Entro un secolo abbiamo finito.