I vini di Bolgheri a NYC: cronaca di coincidenze e degustazioni
Soundtrack: Bob Seger, “Till it shines”

I cipressi "alti e schietti" di Bolgheri

Che la vita sia fatta di coincidenze è cosa nota. A volte piacevoli, a volte meno.
Sono in città, ricevo via email l’invito a una degustazione del consorzio dei vini di Bolgheri. Fin qui, tutto normale: routine. La cosa insolita è che l’invito fosse in un prestigioso club privato di Midtown New York, il Core Club sulla 55th East (tra Park e Fitfh Avenue). E proprio in questi giorni.
Al momento della registrazione, sebbene avessi dato conferma della mia venuta al direttore Paolo Valdastri, nessun altro dello staff credeva che lo Stefano Tesi incluso nella lista degli invitati presenti fossi io. Un omonimo, pensavano (no, stavolta lo zampino di qualche furbetto di FB non c’entra: chi ha orecchie per intendere, intenda). Oppure un errore [ndr: in realtà non è la prima volta che mi presento, inatteso partecipante, a qualche evento all’estero, con sconcertata sorpresa, o smarrimento, o stizza secondo i casi, dei padroni di casa. L’ultima a Pechino, un paio di anni fa. Delegazione ufficiale della Regione Toscana, con stampa più o meno amica al seguito e il sottoscritto che si presenta a sorpresa agli accrediti, invitato da terzi. Stupore. Qualche allarme (neanche fossi un pericoloso terrorista). Al mio fianco, un importante funzionario statale incontrato, sempre casualmente, durante quei giorni. Fantastico].

L’evento bolghero/newyorkese è stato interessante. Sotto molti aspetti. Di scena per le degustazioni riservate ai professionals il Bogheri Rosso 2007, il Bolgheri Rosso Superiore 2006 e qualche “fuori quota”. In tutto diciassette aziende (Campo alla Sughera, Castello di Bolgheri, Collemassari e Podere Grattamacco, Donna Olimpia, I Greppi, Le Macchiole, Michele Satta, Podere Sapaio, Poggio al Tesono, Tenuta Argentiera, Tenuta Campo al Mare, Tenuta dell’Ornellaia, Tenuta di Biserno, Tenuta Guado al Tasso, Tenuta SAn Guido, Villa Le Pavoniere e Terre del Marchesato), accompagnate dal sindaco Fabio Tinti (“Noi oggi presentiamo una piccola stella in un luogo, in una città, in uno stato che da soli rappresentano un universo di stelle”, ha detto il primo cittadino agli ospiti, in un afflato di lirismo) e dal presidente della Cciaa di Livorno Roberto Ricciardi. Tra gli eventi di contorno l’inaugurazione, sempre nei locali del club, della bella mostra fotografica “Vintage Green” di Massimo Vitali e Albrecht Tuebke, dedicata ovviamente al comprensorio bolgherese e bagnata dai suoi bianchi. Presenti anche gli chef del ristorante La Magona, chiamati a cucinare nella Grande Mela i piatti del comprensorio. “Un’operazione di marketing territoriale”, ha spiegato Valdastri mentre coi produttori riceveva gli invitati (opinion leader, giornalisti specializzati e non, f&b manager, ristoratori e un numero imprecisato di imbucati e sedicenti, a dimostrazione che – sempre ridendoci sopra – tutto il mondo è paese).

Buona la cena, con gli chef chiamati a fare i salti mortali per procurarsi in città gli ingredienti che la legge impedisce di portare da casa, come la carne di cinta senese, piacevole l’evento, simpatico l’abbinamento tra la soffusa atmosfera wasp del club e le acrobazie vocali di tenori e baritoni chiamati a rappresentare nella circostanza la tradizione nostrana del bel canto.

E veniamo ai vini. Nè quella nè questa sede erano o sono le più adatte ad un commento tecnico. La sensazione di chi scrive è però che, rispetto alle anteprime, durante le quali avevamo degustato il Rosso 2007 e il Rosso Superiore 2007, il passo avanti sia stato piuttosto netto. Il termini di maturazione del vino, di smussamento degli spigoli, di perdita di certi fastidiosi eccessi legati all’alta gradazione e agli usi spesso eccessivi del legno, nell’esasperata ricerca di modernità, velluto e commerciabilità che negli ultimi anni ha spesso afflitto la denominazione. Non essendoci stata la possibilità di redigere delle schede, è impossibile essere più precisi e preferiamo rimanere sul generale. Interessanti tuttavia il Sassicaia, l’Ornellaia e l’Alberello del podere Grattamacco e il Vignarè di Girolamo Guicciardini Strozzi, tutti del 2006. Una scelta coraggiosa quella di Michele Satta, che ha portato in degustazione il suo I Castagni 2003, vino maturo e pieno, che tradisce tutto il calore dell’annata torrida ma risulta più gradevole e bevibile del previsto.

Ma aldilà delle questioni organolettiche, erano però quelle economiche e commerciali a tenere banco a tavola e tra i bicchieri, tra spiragli di ripresa più ventilati che riscontrati e le difficoltà sostanziali che, in fondo, erano e rimangono una delle ragioni di questa spedizione americana del consorzio. Del resto, se quelli di Bolgheri varcano l’oceano per presentarsi a NY e concomitantemente la santa allenza Chianti Classico-Brunello-Nobile varca le Alpi per presentarsi a Zurigo, una ragione ci sarà…

I vigneti di Michele Satta a Castagneto fotografati da Massimo Vitali

I vigneti di Michele Satta a Castagneto fotografati da Massimo Vitali

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