di URANO CUPISTI
Zaino in spalla su navi cargo, aeroplanini e barche a vela, pochi turisti, qualche hippy, l’isola di “Mediterraneo” prima che ci girassero il film, le patrie di Omero e Saffo, amici occasionali livornesi e tante bevute in cantina…

 

Parlare oggi di viaggi nelle Isole del Mar Egeo è quasi come descrivere una gita fuori porta tanto sono diventate a portata di mano: crociere e mini-crociere, voli low cost, fine settimana, tanto per staccare dal lavoro o addirittura per andare a cena a Mikonos e rientrare al mattino.

Negli anni ’70 le cose andavano diversamente. E anche capire l’identità storico-culturale dei luoghi era complicato. Solo andando a vivere qualche giorno con chi le abitava si potevano infatti capire i dissidi interni, i continui venti di guerra, le rivendicazioni reciproche con la Turchia. C’erano posti dove ancora si parlava l’italiano, compreso quell’ultimo lembo del Dodecaneso rappresentato dall’isola di Castelrosso.

Nel lontano 1961, durante uno dei viaggi con mio padre (in Siria, quella volta), attraversando l’Egeo e costeggiando le isole, avevo fatto la solita promessa: “Tornerò“.

Per una volta, la mia non fu una promessa da marinaio, perchè ci tornai davvero: era il 1972, avevo ventisei anni e avevo già visitato mezzo mondo.

Zaino in spalla raggiunsi Atene per pianificare il viaggio nei dettagli. Navi cargo, aeroplanini e barca a vela furono i mezzi di trasporto scelti per saltabeccare da un’isola all’altra: Rodi, Creta, Santorini, Castelrosso, Samos, Mykonos, Delos, Chio e Lesbo. Attraversai il Dodecaneso, le Cicladi e l’Egeo settentrionale.

Rodi fu dunque la prima tappa, ma anche il primo amore, quello che non si scorda mai. Ci arrivai con un volo dell’Olympic Airlines

L’isola maggiore del Dodecaneso è tra le prime che vengono in mente quando si pensa ad un viaggio tra le isole greche. Ed infatti era già battuta dai turisti europei nell’anno della mia visita. Ma passeggiare nell’aria vacanziera frammista al rigore delle viuzze acciottolate mi dette l’impressione di essere tornato nel Medioevo. La mia memoria olfattiva è ancora piena di profumi e di ricordi. Allora Lindos era stupenda e gli stranieri erano rari. La rammento arroccata sotto l’acropoli, con ai suoi piedi una spiaggia goduta nel silenzio di un tramonto da cartolina.

Poi passai a Creta, un luogo incantato dove su tutto prevalevano l’odore del mare, gli ulivi secolari e le acque limpide. Il fascino degli antichi palazzi, dei miti e delle leggende mi dettero il benvenuto. Arrivai da Rodi sull’aeroplanino di una società privata e capii subito che i cinque giorni programmati non sarebbero bastati per scoprirla.

La civiltà minoica col palazzo di Cnosso, il Minotauro, Teseo e Arianna, di Dedalo e delle fragili ali di Icaro, le influenze delle civiltà romana, turca e veneziana. Ammirare, di quest’ultima, gli arsenali del porto, le piazzette simili a campielli e la bella e curata Chania conosciuta anche come la “Venezia cretese”. Senza dimenticare le Gole di Samaria lunghe fino a 18 chilometri, dove si narra che dalle Ninfe fu allevato Zeus. Sulla costa settentrionale, spiagge bianchissime circondate da palmeti.

Pure la gastronomia era all’altezza: tanto pesce e carni di pollo e agnello accompagnate da gustose verdure, il tutto consumato nelle taverne di Heraklion. Lo yogurt, la feta e l’immancabile brindisi con l’ouzo.

Santorini la raggiunsi con una barca a vela di un gruppo di livornesi conosciuti in una taverna: “Unisciti a noi, raggiungeremo Santorini”. E così fu.

Impossibile dimenticare il blu del cielo e del mare, il bianco delle case, il rosso dei tramonti e il nero della sabbia.

La romantica Santorini, con la sua forte identità, distinta dalle altre isole. L’elemento che l’ha resa affascinante ai miei occhi è stata la caldera, la depressione creatasi 10.000 anni fa per il collasso di un vulcano. Inutile dire che mi persi anche tra le innumerevoli cantine, sorseggiando vini bianchi.

Arrivare a Castelrosso, l’ultimo baluardo greco del Mediterraneo, fu un’impresa. Da Santorini presi un primo “postale” per Rodi con coincidenza, sempre in nave, alla volta di quest’isola, all’estremo sud dell’arcipelago del Peloponneso. Trovai un borgo pittoresco con case a due o tre piani dipinte con colori accesi e taverne una dietro l’altra. Volevo osservare le montagne della vicinissima Turchia (solo 2 Km) dal centro di Paleokastro, la vecchia capitale dell’isola. E vedere il castello dei Cavalieri dell’Ordine di San Giovanni, risalente al XIV secolo, edificato su una collina di rocce rosse che hanno dato il nome all’isola, o la tomba di Licia, l’unica presente in Grecia, risalente al V secolo a. C., nota per le sue colonne doriche. Con vent’anni di anticipo visitai i luoghi che hanno poi fatto da teatro a “Mediterraneo“, il film dell’Oscar a Gabriele Salvatores.

Ed eccomi a Samo, lisola del Moschoudi, un vino dolce a base di moscato bianco. Le vigne, estese allora per più di mille ettari, nella maggior parte dei casi si trovavamo a nord dell’isola, sulle pendici del monte Ambelos, in un contesto di incredibile fascino. Ero arrivato per visitare i siti archeologici e dedicai invece la maggior parter del tempo a girare per aziende vinicole e a farmi una cultura enoica. Ero, evidentemente, un predestinato.

A Mikonos dedicai solo due giorni e feci bene. Già allora, era un’isola esagerata in tutto, piena di hippy, dove trascorrevi il tempo in spiaggia a vivere la vita trasgressiva, noncurante della bellezza dei paesaggi e del pellicano che si aggirava per le vie del lungomare, la vera star di Mikonos.

Delos, invece, era disabitata e raggiungibile da Mikonos con un battello che rientrava al tramonto. L’isola sacra, piccolo lembo di terra rocciosa, considerata fin dagli antichi il fulcro dell’arcipelago. Secondo la mitologia, ci erano nati Apollo e Artemide. Il sito archeologico era imperdibile, sebbene “turistico” anche allora.

Raggiunsi Chio, la leggendaria patria di Omero. Ci coltivavano, e ci coltivano ancora, l’albero della “masticha”, unico nel suo genere, dal quale si estrae un liquido che favorisce la digestione e fa diminuire gonfiore e pesantezza dopo i pasti. In pratica una bevanda miracolosa. O almeno così la propinavano. Senso degli affari tanto, poesia poca ed epica punta.

Quindi toccò a Lesbo, terra antichissima di leggende e poesie d’amore. Quasi attaccata all’Anatolia, più a nord della città turca di Smirne, dette i natali a Saffo, cantrice dell’eros tra donne. Considerando il periodo del mio viaggio, l’argomento era ancora un po’ tabù, ma proprio per questo eccitante. Rimasi invece molto deluso: neanche una statua, nemmeno qualcosa di allusivo o dipinti ammiccanti. Gli abitanti, restii a parlarne, menzionandola si facevano il segno della croce. Quello ortodosso, naturalmente. Oggi come allora gli isolani preferiscono farsi chiamare Militenesi, dal nome del Militene, anzichè “lesbesi”.

Il mio viaggio tra quelle 9.835 isole e scogli, di cui solamente 227 abitate, era finito.

Ma non l’avventura: quella proseguì fino a Bari, visto che per il ritorno mi imbarcai su un cargo battente bandiera panamense.

Tu chiamalo, se vuoi, il richiamo del sangue