di URANO CUPISTI
Nel 1975, fresco di interessi vinicoli, partii per Malaga su una 128 Rally sperando d’incontrare il “señor” Pedro Ximenez, che immaginavo austero e baffuto. Scoprii però che non era una persona, ma un’uva! Ecco come andò.

 

Il motivo per il quale, nel ’75, decisi di andare in Spagna in auto fu il desiderio di fare la conoscenza di un certo Pedro Ximenes.

Da poco mi ero avvicinato al mondo del vino, ai suoi misteri e alle sue leggende: Dom  Perignon, la vedova Clicquot, gli studi di Emile Peynaud e, appunto, Pedro Ximenez.

Mi immaginavo un señor andaluso, con i baffetti da sparviero, belli sottili, e produttore di un vino dolcissimo, dagli aromi di uva passa e melassa. Le notizie che avevo trovato in biblioteca comunale erano scarse e rimandavano soltanto a un tipo di vino chiamato X.P.. Del Pedro in carne ed ossa, nulla. La curiosità e il crescente mistero ebbero così il sopravvento e, come si dice, mi risolsi ad andare a verificare di persona come stavano le cose da quelle parti, ossia la Spagna meridionale. Meta finale, le cittadine di Montilla e Moriles, a nord di Malaga, perché le ultime, fumose indicazioni conducevano lì.

Trovai un traghetto danese che mi portò, insieme alla mia fida Fiat 128 Rally, da Genova fino a Malaga, ritenuto punto di partenza strategico dell’avventura.

Come spesso accade durante i trasferimenti, e in particolare in due giorni di navigazione, feci la conoscenza di uno studente di Agraria dell’Università di Roma, anche lui con destinazione il sud della Spagna e più precisamente Jerez de la Frontera, per approfondire il fenomeno dello Sherry.

Fu il tizio a dirmi, non senza un mio stupore misto a smarrimento, che il signore che cercavo altro non era che un vitigno iberico. Ma aggiunse che Pedro Ximenez era comunque esistito e che la sua storia meritava di essere conosciuta.

Giunto a Malaga, mi concessi un breve tour con visita obbligata all’Alcazaba, il palazzo-fortezza voluto dai governatori musulmani nel XI secolo che domina dall’alto la città e il porto.

Raggiunsi poi Moriles, nel cuore dell’Andalusia, dove, al di là dei monumenti, scoprii l’ampia offerta vinicola del territorio, che subito abbinai alla gustosa tradizione spagnola delle tapas, allora una vera e propria scoperta. Fu a Moriles, nella Bodegas San Pablos, che mi raccontaronoper bene tutta la storia, mista a leggenda, di Pedro Ximenez.

Si dice che un mercenario fiammingo dell’esercito di Carlo V (1500-1558), di nome Peter Siemens, abbia portato dal Reno in Andalusia alcune barbatelle di quel vitigno, che produceva un’uva bianca molto aromatica adatta alla vinificazione dolce. Siccome nessuno ne conosceva il nome, la chiamarono col nome del soldato che l’aveva importata. Ma siccome gli spagnoli non sapevano pronunciare corretamente il nome Peter Siemens, cominciartono a storpiarlo in Pedro Ximénez.

Inutile dire che la mia delusione fu feroce, per fortuna almeno in parte compensata dall’approfondimento di quel vino che diventò la destinazione vera del viaggio.

Il ritorno lo feci tutto in auto, sulla direttrice costiera. Allora le autostrade non esistevano: monocorsia da Cordova a Granada, poi Murcia, Alicante, Tarragona e Barcellona. Con varie soste e tappe, ovviamente, e tante cose che mi rimasero impresse: il Cristo de los Faroles in Plaza de los Capuchinos a Cordova, l’Alhambra di Granada, la Cattedrale di Santa María nella Plaza del Cardenal Belluga a Murcia, uno dei più bei monumenti del barocco spagnolo, il Castello di Santa Barbara e il Monument als Castellers ad Alicante e, infine, la corrida a Barcellona.

E tutte le sere, a conclusione della cena, mi aspettava un piccolo calice di X.P. di Moriles dal sapore dolce tra datteri freschi, fichi e spezie, con quell’eleganza mista tra orientale e araba. Ogni volta dovevo così ringraziare quel señor immaginario, tanto inseguito e mai trovato, che aveva dato il via a quella avventura.