La foto Ansa del ministro senza occhiali. Gli effetti (verbali) si vedono.

Leggo sull’Ansa il resoconto delle “4 mosse” con le quali Dario Franceschini pensa di rilanciare l’economia turistica nazionale. Sono le stesse cose che sento ripetere dal 1986, cioè da quando mi occupo di turismo. Aiuto…

Caro ministro Franceschini,
il turismo è una brutta gatta da pelare.
Qualcuno pensa che – in concorrenza, anzi in potenziale simbiosi con il patrimonio culturale nazionale – esso sia il petrolio d’Italia. Rappresentazione pessima, nell’era della cogenerazione, di un’idea rapinosa e obsoleta di utilizzo delle risorse.
Ma il punto non è questo.
E’ che il turismo a tutti sembra una cosa semplice e invece è un fenomeno complesso.
L’errore di valutazione dipende spesso dal fatto che molti lo considerano una mera fonte di facili entrate e non anche una fonte di uscite obbligate e preventive. I cosiddetti investimenti. Che non sono solo strade, parcheggi, brochure e siti web pur destinati a nascere vecchi, buoni trasporti, pubblico decoro, marketing più o meno improvvisato. Sono anche professionalità e il duro percorso teorico/pratico per acquisirla. E qui casca l’asino dell’italianità, di un popolo cioè creativo, bravissimo a inventare e ad arrangiarsi, ma perdente quando si misura con industrie planetarie, organizzate, interdipendenti come quella, appunto, turistica.
Ora leggo sull’Ansa (qui) il resoconto della sua recente conferenza stampa in occasione della quale, oltre a presentare la squadra ministeriale e l’Enit in versione commissariata (all’argomento mi dedicherò ad hoc, in futuro), si è dilungato sui “4 punti” per il rilancio del settore.
Le confesso: mi sono cascate un po’ le braccia.
La collega dell’agenzia li riassume, credo fedelmente, così: moltiplicare l’offerta turistica, lavorare sulla digitalizzazione, aumentare la qualificazione dell’ospitalità, promuovere l’Italia come sistema Paese e non come singole entità regionali.
Prego? Che strategia sarebbe questa?
Sono le medesime cose che sento ripetere, e che nessuno ha mai realizzato, da trent’anni. D’accordo, prima la digitalizzazione si chiamava tecnologizzazione, ma la sostanza non cambia. Moltiplicare che vuol dire? Abbiamo problemi di domanda, non di offerta. Forse la salute del settore e la sua crisi di remuneratività dipendono anche da un eccesso di strutture, reti, organizzazioni, formule e pacchetti che non hanno sufficiente mercato, tutti in grado di raccogliere briciole ma nessuna in grado di fare massa. E aumentare la qualificazione dell’ospitalità che vuol dire? Non mi pare una ricetta, ma una necessità implicita e preventiva di ogni attività economico-commerciale. Non vedo in cosa starebbe il quid pluris, senza contare che la scarsa qualificazione è in gran parte figlia della scarsa professionalità e dell’eccesso di offerta già citati. Quella del sistema-paese da promuovere nel suo insieme, poi, è una boutade abbastanza sconcertante: l’idea che, come se fossero Nutella, i turisti si possano “spalmare” sul territorio. Veramente è il contrario: occorre creare le premesse affinchè, spontaneamente, essi si “spalmino” da soli trovando anche fuori dai soliti poli di attrazione cose interessanti da vedere, relativamente facili da raggiungere, decentemente servite, a prezzi accettabili, senza fregature nè brutte sorprese. Insomma, per fare sistema turistico, o diciamo meglio turismo diffuso, il paese, prima, va sistemato. Altrimenti resta (e in fondo è anche una fortuna, per certi aspetti) un paese fatto di isole turistiche.
Caro Franceschini, intendiamoci: lei non può avere, e credo nessuno si aspetti che ella abbia, la bacchetta magica o la ricetta miracolosa per ridare impulso a un’importante voce dell’economica nazionale come il turismo.
Ma ripetere le solite banalità prebalneari, a cominciare da quella che da solo il settore sarebbe la panacea di tutti i mali socioeconomici italici, certo non aiuta. Nè gli addetti a migliorare, nè la gente a capire, nè i politici a fare.
Insomma, si rimetta gli occhiali. Con quelli sul naso stava pure meglio. E magari l’aiutano a vedere un po’ più lontano.