Per stimolare il turismo nel paese, inserito tra le mete da visitare nel 2022, il governo honduregno ha stampato un bel volume su Roatàn e le Bay Islands. Inconsueta operazione che induce anche a qualche più ampia riflessione sul viaggiare e l’editoria di viaggio.

 

C’è stato un tempo, nemmeno troppo lontano, in cui i luoghi si dividevano in due categorie: quelli in cui si poteva andare, o almeno aspirare di andare in vacanza e quelli dove – per distanza, inaccessibilità, costi – si sapeva in partenza che era estremamente improbabile poterci andare. E ci si limitava a sognarli. Oppure ad ammirarli attraverso le foto e i racconti di chi c’era stato.

Il tramite di tutto ciò era la cosiddetta editoria di viaggio, ossia quei giornali che, con la scusa di suggerirti idee per le ferie, al tempo stesso ti facevano viaggiare con gli occhi verso mete irraggiungibili, affidandone il racconto a viaggiatori scafati, disincantati, professionali. I cosiddetti travel writer.

L’epopea sui quali vi risparmio, ma che un certo ruolo nell’educazione al viaggio degli italiani l’hanno comunque avuto.

La versione di lusso di questa pubblicistica erano i libroni illustrati. Quelli che poi, nella vulgata corrente di un mondo globalizzato, in cui chiunque può andare ovunque (è una constatazione, non una critica a priori, anche se sulla faccenda ci sarebbe da discutere a lungo), sono diventati i mattoni da salotto, altrimenti detti decorativi o “inutili”.

Eppure, per decenni, sono stati lo strumento principale non solo per l’esercizio dell’immaginazione odeporica, ma per aiutare a fissare nella mente immagini e nozioni fondamentali.

Per ragioni anagrafiche, la mia casa è piena di questi tomi. Che, è vero, ormai si sfogliano raramente, ma conservano una loro intrinseca, intramontabile bellezza. Nei contenuti e nell’oggetto in sè. Nella loro monumentalità, mi verrebbe da dire.

E aggiungo una cosa: il fatto di essere divenuti desueti accresce il loro valore documentario. Da ingombranti raccolte di immagini sono divenuti, causa il fatale trascorrere del tempo, la testimonianza di un mondo che spesso, a pochi decenni di distanza, è completamente e irreversibilmente mutato da com’era. E che è improbabile che torni come prima. Della serie: quando ancora l’omologazione dell’architettura, degli aerporti, dell’abbigliamento, del commercio, degli stili di vita, dei cibi, dei mezzi e dei modi di trasporto, delle lingue non c’era.

Ho ripensato a tutto questo quando, mesi fa, ho ricevuto un invito dell’Ambasciata dell’Honduras. Non a un viaggio, ma alla presentazione di un librone: “Roatàn & The History of Bay Islands“.

Lizzette Kattan, già editor in chief di Harper’s Bazaar Italia e Francia, firma con il figlio Roland James un libro che celebra l’Isola di Roatàn, in Honduras, attraverso gli scatti di otto fotografi e le testimonianze di viaggiatori e globetrotter“, diceva il comunicato di lancio. “L’opera  – aggiungeva l’ambasciatore honduregno in Italia, Mariano Jiménez Talaverasi inserisce in una operazione di rilancio turistico del nostro paese, che stiamo conducendo a livello italiano ed europeo. In Honduras convivono otto gruppi etnici diversi, ciascuno dei quali ha preservato cultura, riti e tradizioni. Non a caso il Condé Nast Traveller ci ha inserito tra le migliori mete da visitare nel 2022”.

A Roatàn non ci sono mai stato e ciò mi ha spinto a sfogliare il libro con interesse e un po’ di nostalgia per quando viaggiare era più avventuroso e contemplava l’opportunità di apprendere in loco più cose di quante non fosse possibile imparare prima di partire. Di solito arrivando a trarre conclusioni diverse dalle certezze con le quali ci si era imbarcati.

Ma non basta.

Il volume ha un altro pregio: il fatto di essere, per una buona metà, dedicato non a belle ma prevedibili spiagge bianche, acque cristalline e tutto il logico apparato di immagini turistiche, ma a una galleria di reperti archeologici e documenti storici, con una sezione di raffigurazioni cartografiche attraverso i secoli in cui, ammetto, mi sono “tuffato”.

E’ mia profonda convinzione che anche in Italia l’editoria di viaggio legata al reportage possa avere un grande mercato. La gente ama viaggiare anche con la mente. Il perchè questo potenziale non si trasformi in realtà è invece un mistero a cui non so dare risposta.