Anticipo qui una traccia del mio intervento al convegno di oggi pomeriggio (ore 19.00, Via San Micheletto, 3: programma qui) alla Fondazione Cassa Risparmio di Lucca su “Valori e Identità nell’esperienza di viaggio: diverse sono le percezioni individuali del viaggio. Tutte contribuiscono pero’ a dare un senso all’identita’ turistica di un luogo o di un territorio ed hanno un ruolo nel marketing territoriale. Sono valori che si integrano nel tratto distintivo e caratterizzante del patrimonio culturale ed ambientale locale, contribuendo a fare di un luogo una destinazione di viaggio da non perdere”.

Fosco Maraini, uno che se ne intendeva, lo diceva espressamente: fare un viaggio, anche organizzato, è sempre meglio che stare a casa. Una constatazione meno lapalissina di quanto possa sembrare.
Perchè se è diffuso, tra i “frequent travellers” e massimamente tra i giornalisti specializzati, un certo snobismo nei confronti dei vacanzieri e dei viaggiatori “a pacchetto”, la verità è abbastanza diversa: per ogni individuo, viaggiare è sempre un’esperienza, è un confronto con l’altrove, qualcosa che non è mai virtuale o immaginaria ma vera, tangibile e tattile. Odori, contatti. Tutto autentico. Tutto vero. Nel bene e nel male. Cose capaci di lasciare tracce profonde anche se, in apparenza, impercettibili. Perchè anche il kitsch o il banale sono sempre “veri”.
Raccontare un viaggio è invece una cosa diversa. Difficile. Perchè a raccontare sono bravi tutti. Ma a saperlo fare, riuscendo a restituire, attraverso le parole, le sensazioni e le fascinazioni, le immagini e le fantasie, il vissuto e il vivibile, il sentito e l’udibile, sono pochi.
Questa è la grande sfida che il reportagista deve affrontare ogni volta che ha inserito il proverbiale foglio bianco nella macchina da scrivere. Ciò che scriverà dovrà essere infatti non solo vero, ma verosimile. Capace cioè di far galoppare la fantasia e al tempo stesso di dare informazioni e notizie, di restituire “verità”. Da qui l’eterno e un po’ stucchevole dilemma dell”autenticità” del viaggio e del come esso è descritto.
Perchè, in un’attività di questo tipo, l’autenticità è solo il medio proporzionale tra il vero e il verosimile. E’ ovviamente autentico ciò che è vero, perchè un’esperienza come il viaggiare e la sua descrizione devono essere verificabili, reali. Ma, poichè anche raccontare in forma realistica è di per sè un’esperienza emotiva, in un tale processo di assimilazione e metabolizzazione finisce per risultare “autentico” anche ciò che è solo verosimile. Il giornalista di viaggio, dunque, è qualcuno che in sostanza “pratica” l’esotico: pratica l’esotico come un mestiere. Cioè come quella miscela tra capacità artigianale e intuizione intellettuale in cui consiste la creazione di qualcosa di abbastanza originale da essere unica, ma non tanto elevata da essere letteratura.
Accade così che spesso per il giornalista un viaggio e il racconto del medesimo siano due esperienze diverse. E che non sia affatto necessario che esse “coincidano”. Il reportage non è un lucido, una falsariga che deve combaciare alla perfezione con la realtà. E’ una lettura della realtà, una sua interpretazione, una visione filtrata attraverso la sensibilità, il vissuto, il sentimento individuale. Non è il surrogato scritto della vacanza. Nè serve al lettore solo per andare in vacanza.
Per questo mi pare che la questione dell’autenticità del viaggio sia grande equivoco, una inutile bagatella.
Bagatella per una vacanza.