Gli scienziati lo chiamano “rumore bianco”: è il suono prodotto dalla natura e dagli esseri che la popolano, come il canto dei grilli, il tubare delle tortore, il soffio del vento. Cose che una volta erano sinonimo di quiete. Che però, nel mondo “capovolto” di oggi, di “bianco” hanno mantenuto solo il colore delle notti, trascorse insonni dagli inquieti vacanzieri avvezzi ormai alle sirene e ai clacson, ma non al cinguettare dei passeri.

La notte di Ferragosto – ci racconta qui il Corriere on line di oggi – una signora inquieta ha chiamato il commissariato di Tarquinia chiedendo un pronto intervento contro la cicala che friniva sull’albero di fronte alla sua finestra, denunciandola per disturbo della quiete pubblica. Anni fa, un amico ospite mio in campagna, dopo una notte trascorsa in una di quelle umbratili, fresche, solenni camerone di una volta, tra lenzuola ruvide e profumo di spigo, a domanda se aveva dormito bene rispose un po’ seccato: “Sì, ma mi hanno svegliato gli uccellini”. Tempo dopo, una turista in vacanza nella medesima campagna senese mi confessò di aver trascorso la notte con gli occhi sbarrati, atterrita dal “rumore di giungla” che le giungeva dalle finestra aperta. Sempre dal Corriere si apprende poi che ad Alassio gli inquilini di un condominio hanno “costretto” il comune all’evacuazione forzosa di una rana, colpevole di tenerli desti con il suo gracidare.
Il florilegio dei casi grotteschi potrebbe naturalmente proseguire all’infinito, alimentato dalla sorgente inesauribile della cronaca e dell’esperienza personale.
Ma nel variegato, spesso surreale mondo dei vacanzieri, esistono anche gli episodi contrari. Quelli di coloro i quali, ad esempio, non riescono a dormire per “troppo silenzio” e che per assopirsi, invece di contare le forse troppo bucoliche pecorelle, tengono aperta la porta della cucina, da cui filtra il conciliante ronzio del frigorifero.
Una volta, per ampliare il discorso e l’aneddotica, ho invece trovato, sull’uscio dell’appartamento che gli avevo affittato, lo spazientito biglietto di un signore: “Da ieri non possiamo usare il bagno – diceva – perchè è entrata un’ape”. “Tenga duro – gli scrissi in calce – se l’invasore resiste, domani chiamo l’esercito”.
Ci sarebbe da ridere se questi aneddoti non dimostrassero il catastrofico livello di perdita di contatto della gente con il mondo “normale”. Dico normale, e non naturale, per evitare anche il briciolo di fastidiosa retorica che questo aggettivo ha finito col tempo per assumere.
Ma la deriva è pericolosa. Quanto è lontano il momento in cui i bagnanti, destati dallo sciabordare notturno delle onde, invieranno lettere di protesta al comune, alla capitaneria di porto, all’apt, al Ministero per l’ambiente o direttamente a Nettuno? Secondo me, non molto.
Far coincidere le aspettative dettate da un’immaginario popolato per lo più da arcadie pubblicitarie e la realtà di un ambiente circostante del quale si è perduta ogni percezione è diventato quasi impossibile. Si vuole il sole ma senza il caldo, la natura ma senza gli insetti, la terra ma senza sporcarsi le scarpe. I turisti, insomma, somigliano sempre più ai politici, che hanno perso di vista il cosiddetto “paese reale” e veleggiano imperterriti nei meandri del potere, inseguendo le loro fanfaluche.
Mi viene in mente l’episodio di un tipo che, prenotato un alloggio per le vacanze, si presentò con tenda canadese, fornello da campo e 50 kg di pasta. “Non si sa mai”, spiegò. Forse pensava di aver affittato una grotta.