La mostra “Yōkai. Le antiche stampe dei mostri giapponesi” in corso alla Villa Reale di Monza (e prorogata fino al 9 ottobre) è una straordinaria chiave di lettura del mondo culturale nipponico. E il catalogo, che riporta ad arcani infantili e non, non è da meno.

 

Nel salotto della casa di quando ero bambino c’erano due stampe giapponesi. Erano ritratti di un certo pregio, con la cornice laccata di rosso, oggi purtroppo perduti.

Quei lineamenti adunchi e giallognoli, dal trucco pesante e dall’espressione aggrottata (oggi direi teatrale), mi inquietavano assai. Le due figure mi guatavano minacciosamente di tralice e io, di contro, a mia volta per ore le guardavo perplesso dal sotto in su. Fantasticavo storie con quei mostri appostati in agguato dietro l’angolo ad aspettarmi. A volte sognavo che mi vegliassero poco benignamente nel sonno. Altre, nella mia cronica incapacità di addormentarmi, mi pareva di intravederle incarnarsi tra le ombre della stanza, oppure nelle forme incerte di un attaccapanni sovraccarico, o ancora nella sagoma in chiaroscuro di una tenda gonfia e ondeggiante per via della finestra socchiusa. Ero convinto, senza ovviamente averne alcuna prova evidente, che fossero donne cattivissime e (chissà perchè, visto che i grandi mi assicuravano il contrario), “cinesi“. Del resto, all’epoca, conoscevo la distinzione tra Cina e Giappone in linea del tutto teorica.

Col tempo, per fortuna, il mio rapporto con la geografia, la cultura e l’iconografia giapponesi è cambiato radicalmente. E oggi non faccio mistero di subire molto la fascinazione del mondo del Sol Levante.

Per questa ragione prima ho vagheggiato l’intera estate e poi mi sono rammaricato molto di non potermi allungare fino alla lontana Brianza per ammirare, nel Belvedere della Villa Reale, “Yōkai. Le antiche stampe dei mostri giapponesi: una mostra di duecento stampe del XVIII e XIX secolo, libri antichi, abiti storici, armi tradizionali e una collezione di netsuke del periodo Edo (1603-1868).

Poi ho scoperto che l’esposizione è stata prorogata fino al 9 di ottobre e allora, nell’incertezza di una visita, mi sono procurato almeno il catalogo (SKIRA, 210 pagine, 30 euro).

Ne valeva la pena perchè, anche da solo (e chi l’ha vista mi dice che la mostra è pure più bella, con un allestimento vivace ed inconsueto, eventi e laboratori, che la rendono originalissima e adatta a un pubblico vasto), è un tuffo poderoso nell’immaginario nipponico e in quell’intreccio di elementi fantastici, tradizionali, sociali, grafici e culturali costituenti uno dei capisaldi di quella cultura millenaria.

Intendiamoci subito: nulla a che vedere coi pur “generazionali” mostri dei cartoni animati televisivi degli anni ’80. Qui l’arco temporale abbracciato è come detto il periodo Edo e che più o meno coincide – spiega Paolo Linetti nel bel saggio, dotto ma comprensibile a tutti, che accompagna le illustrazioni – con quello che comunemente si dice dello “Shogun” (anche questo assai celebrato dalla fiction televisiva e dal cinema), connotato dal dominio di un capo militare al governo del paese e di un Tenno, ossia l’imperatore, sempre più marginale, relegato nella sua prigione dorata di semidivinità. Un’epoca “pacificata”, ancorchè per la forza dallo shogunato, che produsse tanto un fiorire di arti quanto l’apogeo della cultura samuraica.

Di tutto ciò, anche il catalogo trabocca.

E, nel passare in rassegna, tipo per tipo, tutte le categorie degli “Yokai” nipponici (un mondo ricchissimo e variegato di spettri, demoni, figure con origini, caratteri, ambienti, cosmi diversi, ognuna ben descritta nel volume), percorre l’iconografia di un universo spesso concettualmente lontanissimo dal nostro. Un universo che senza adeguate spiegazioni faticheremmo a comprendere, limitandoci ad ammirare la bellezza abbagliante di stampe, dipinti, serigrafie, xilografie, sculture che comunque riempiono gli occhi e le pagine.

Dagli Oni ai Netsuke, dagli Oiwa ai Kappa, dalle inquietanti presenze domestiche alle entità maligne dei mari, fino ai mostri orribili che popolavano i racconti notturni del “gioco delle cento candele“, il catalogo è uno scorrere di immagini e di letture folgoranti da cui da bambino mi sarebbe stato difficile staccarmi. E da cui mi è difficile staccarmi anche oggi visto che, come una sorta di filigrana, quelle rappresentazioni e il loro intimo significato rappresentano la base per la messa a fuoco di viaggi, letture, esperienze vissute da adulto.

 

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