Alive on arrival (foto di Serena Facchini)

…e dopo i 20 km dell’ultima tappa (ovvero 122 in tutto, mica scherzi), tra ali di folla i pellegrini artusiani, stanchi ma felici, giunsero puntuali all’appuntamento con le chiarine, i sindaci, gli assessori, la gloria. E la malinconia che accompagna le cose che finiscono.

Stefano Frassineti, patron della locanda Toscani da Sempre di Pontassieve e pellegrino egli stesso, la sera prima ce l’aveva messa tutta per fiaccarci, stappando all’incirca una bottiglia per ogni commensale e ammannendoci una cena pantagruelica, culminata con una pozione al peperoncino che ha steso più d’uno (non i ferrei camminatori, però). Ma non era riuscito a scalfire la nostra, pur ormai dolente, lena.
E così ieri mattina all’alba o quasi (levata alle 6, partenza alle 7), il gruppo dei marcianti, integrato dall’epifania del redivivo, indomito Roy Berardi from Romagna e di Ricciardo Artusi, ovviamente discendente di Pellegrino, si è avviato alla volta di Firenze. Destinazione: cimitero delle Porte Sante, a San Miniato a Monte, davanti alla tomba del nostro vate. Attesi per mezzogiorno dalle chiarine del Comune di Firenze, un rappresentante del comune, il sindaco di Forlimpopoli, autorità varie, fan, sostenitori, dileggiatori, increduli, fotografi e cronisti.
Convinto il Macchi a non suicidarsi sul tratto finale della statale 67 che ci divideva dalla meta, reso impraticabile da un ingorgo di tir con passaggi a sfioro, abbiamo raggiunto con relativa agilità Vallina, ove ha avuto luogo una sapida sosta-ristoro. Dopodichè via, nella giungla d’asfalto metropolitana, tra foto ricordo del transito sotto il cartello “Firenze”, deviazione alla piazza Pellegrino Artusi in zona Gavinana, liti con semafori e strisce pedonali a noi ormai desuete, e astuti tagli per vie secondarie suggeriti dall’esperto Ricciardo. Qualcuno ha stretto i denti più di altri, ma con grande dignità tutti abbiamo raggiunto la base del piazzale Michelangelo. E, un po’ per sfida e un po’ per incoscienza, abbiamo attaccato la meta lungo la via più diretta e più erta, tra giubilo e motteggi. Al punto da arrivare con un certo anticipo e poterci godere mezz’ora di riposo sulle panchine con vista cupolone.
Dopodichè, alle 12 esatte, tra i flash dei fotografi e gli sguardi sbalorditi di sposi cinesi appena discesi da improbabili jumbo-limousine, eccoci salire la scalinata finale, novelli Rambo del metatarso, brandendo la bandiera celebrativa che il primo cittadino di Forlimpopoli ci aveva consegnato il giorno della partenza per consegnarla al sindaco di Firenze.
Applausi, abbracci, fiatone, esultanze da stadio, strette di mano, foto, interviste, momenti di varia solennità e commozione davanti al busto liberty dell’Artusi, i soliti imbucati che cercano di ritagliarsi una fetta di gloria e qualche balla da raccontare sul fatto che “c’ero anch’io”, pacche sulle spalle, capannelli di curiosi, promesse di rimpatriate e di scambio di visite, polpacci doloranti, una strisciante e crescente malinconia per l’avventura che si concludeva, qualche lacrimuccia, le prime telefonate a casa, l’arrivo di parenti e autisti.
Il viaggio è finito.
Era mattina, ma a me veniva in mente un verso di Jim Morrison: “Il morbido corteo adesso è finito / fresche pozzanghere / in una terra stanca / affondano ora / nella pace della sera”. Poi ci ho ripensato. E ho trovato che la frase più appropriata da dire, a congedo, fosse quella che avevo già detto sulla vetta del Passo del Muraglione, due giorni prima: “Egli sentiva la giovinezza come una corda ancora capace di reggere lo sforzo” (Federigo Tozzi).
Grazie ai compagni di pellegrinaggio e a tutti quelli che ci hanno seguito virtualmente attraverso questo blog.
Long may we run.