Il responsabile per l’Italia di Wine Advocate è stato in Puglia per un talk show condotto dal sottoscritto. E ha dato poche, lapidarie indicazioni. Tutte condivisibili? Forse no. Ma i toni e il modo, senza dubbio sì. A cominciare da: “Io faccio informazione, non marketing“.

Antonio Galloni, responsabile di Wine Advocate (qui) per l’Italia, la Champagne, la Borgogna e la California, lunedì 22 ottobre è stato alla masseria Torre Coccaro di Fasano come ospite d’onore del seminario, che il sottoscritto ha avuto l’onore di condurre con il collega Pasquale Porcelli, sulle prospettive dei vini pugliesi sul mercato internazionale, tenutosi a margine della quarta edizione di Puglia Wine & Land (qui), la manifestazione promozionale organizzata dal Movimento per il Turismo del Vino di quella regione.
Un appuntamento d’eccezione sia per lo spessore dell’ospite che per la composizione dell’uditorio, costituito da buyers di tutto il mondo e dalla crema delle aziende produttrici pugliesi.
Va premesso che Galloni – 42 anni, origini siciliane, ex investment banker, poliglotta e residente a NY – è una persona indubbiamente potente ma sobria, riservata, educata, gentile e pragmatica. Insomma non è il trombone che il suo ruolo e il suo prestigio gli consentirebbero di essere.
Ha anche una visione molto “americana” delle cose, sia come approccio che come mentalità. Il che non rende sempre automaticamente condivisibile il suo pensiero.
Ciò che tuttavia ha reso vincente il suo intervento è stato, aldilà dei contenuti, il modo. Anzi, il metodo.
L’incipit è stato da incorniciare: “Non sono qui per fare marketing, bensì per dire con onestà intellettuale quello che penso“. Silenzio in sala, sorriso sulle labbra, idee chiare. Insomma niente sparate, ma neppure sconti per nessuno. In platea qualcuno ha cominciato a sudare freddo.
Ed ecco alcune pillole del Galloni-pensiero:
1 – “In USA il vino deve avere una storia da raccontare, i vitigni sono luoghi, questo è quello che va comunicato
2 – “I produttori dovrebbero uscire dalle cantine e andare sul mercato, portare lì i loro prodotti, presentarli, allacciare e coltivare relazioni: il mercato del vino si basa su questo, non sulle cose date per scontate“.
3 – “Gli americani conoscono la Puglia, ma sanno poco delle sue aree, delle sue differenze, dei suoi diversi vini e su questo bisogna insistere“.
4 – “Per fare marketing occorre battere i mercati, ma anche avere in loco i migliori ambasciatori del vino, ovvero i sommelier, quelli che nei ristoranti fisicamente presentano le bottiglie ai clienti destinati a essere i consumatori: per la promozione, la giusta formazione e sensibilizzazione dei sommelier è un punto fondamentale“.
5 – “Ogni regione, Puglia compresa, ha bisogno di produttori-leader che ne lancino il nome e la reputazione“.
6 – “Per ragioni culturali e di conformazione geografica, gli italiani hanno scarsa inclinazione a coltivare i rapporti con le regioni vicine, il che li rende poco aperti e poco permeabili: occorre superare questa mentalità“.
7 – “La grande differenza tra i produttori italiani e francesi è che i primi parlano bene dei vicini in pubblico e male in privato, i secondi non parlano mai male dei colleghi e in ciò sta la loro compattezza d’immagine“.
8 – “I supertuscans? Vini morti, autoreferenziali, nessuno più li compra“.
9 – “La Puglia ha grandi produttori ma non grandi ristoranti che possano promuovere il vino nelle aree di produzione“.
10 – “E’ incredibile che un ristorante di lusso abbia una carta dei vini con tanti vini da tutto il mondo e non una vastissima scelta delle eccellenze regionali, che sono uno dei motivi per i quali la gente va lì e a cui è interessata“.
11 – “Il vitigno pugliese su cui, a mio giudizio, scommettere? Il Primitivo: è il più conosciuto e quello con il maggior potenziale“.
12 “I vini biologici e biodinamici? Sono una moda e io sono un po’ contrario alle mode, che sono effimere. Preferisco valutare la qualità del vino nel bicchiere“.
Come si vede, nulla di nuovo.
Ma il modo diretto, la linearità e anche l’autorevolezza hanno sortito grande effetto sui produttori. Tra i quali più d’uno, anche se magari allarmato o perfino punto sul vivo dalle parole di Galloni, ha dovuto ammettere: “Qualcuno lo doveva pur dire”.
Ecco, io condivido al 100%. Così come condivido la precisazione di partenza, con la quale Antonio si è presentato per quel che è, un critico e non un testimonial chiamato lì a fare marchette.
Resta una dolorosa considerazione di fondo: poichè lui non è stato nè il primo nè l’unico a dire quello che ha detto, perchè chi lo ha preceduto non viene preso in considerazione?
Dai produttori sono gradite risposte sincere.