di ANDREA PETRINI
INVECCHIATIGP (*): Rosso dell’Uccellaia 2006, Azienda Agricola Uccellaia

 

La scelta di iniziare la rubrica InvecchiatIGP con questo vino è dovuta alla sorpresa degustare un rosso dei Colli Piacentini così vivo, elegante e complesso anche dopo 15 anni, cosa non proprio scontata.

La storia comincia nel 1977 quando Chicca Baroni Nicoletti, nel 1977, va in cerca col marito Francesco di un buen retiro per staccare dal caos cittadino e di un luogo dove coltivare le proprie passioni, come allevare i cavalli oppure fare buon vino secondo le ancestrali regole contadine. Lo trova tra i colli della Val Nure, precisamente ad Albarola di Vigolzone (PC), col marito scopre e si innamora di questi 15 ettari, di cui 8 a vigneto, circondati da boschi di castagni e robinie.

Da quel momento, e fino al 1998, l’attività principale dell’azienda agricola, chiamata Uccellaia visti i tanti volatili che nidificavano nei dintorni, è stata l’allevamento dei cavalli da sella,.

Ma c’è un filo invisibile che lega i cavalli di ieri ai vini di oggi che prende sostanza quando i Nicoletti cominciano a fare il loro primo vino con l’uva dei vigneti già esistenti (dal 2002 a conduzione biologica): il Rosso dell’Uccellaia che, dal 2007, porta il nome di uno dei cavalli più belli e importanti del loro allevamento: Inventato. Il quadrupede è un incrocio abbastanza inusuale tra una fattrice purosangue e uno stallone Hannover, mentre il vino è un blend di Merlot (55%) e Barbera (45%), fuori dai soliti schemi dei Colli Piacentini.

Durante la pandemia, grazie all’amico Giuseppe Esposito, ho potuto incontrare on-line Giulia Nicoletti, figlia di Chicca, con  la quale degustato per la prima volta il Rosso dell’Uccellaia 2006.

Prima di entrare nel merito, una breve nota tecnica: la fermentazione avviene con lieviti autoctoni, la macerazione delle uve dura circa un mese, bucce e mosto rimangono a contatto durante e dopo la fermentazione alcolica. In questa fase quotidianamente si rimescola il cappello di vinacce eseguendo rimontaggi e follature, operazioni cruciali per estrarre antociani, polifenoli e tannini. Invecchiamento e maturazione avvengono in barrique di rovere francese di secondo e terzo passaggio per circa 12 mesi.

La longevità di questo rosso, che nasce da un mix di struttura e acidità, caratteristiche offerte anche dal terreno di argille rosse che ospita le vigne le vigne, è evidente appena si mette il naso nel bicchiere: si percepisce una verticosa profondità giocata su due piani diversi, quello pulsante e estroverso, veicolato dall’alcol (rosolio, essenze di rosa e viola, terra rossa, brace) e l’altro, di bacche rosse aspre e selvatiche, scolpito dalla vibrante freschezza. Il congegno funziona anche al gusto, in cui un tannino abbondante ma ben domanto dal tempo accompagna il degustatore verso un’uscita espressiva e lunghissima di aromi fruttati a cui fa eco, in fondo, una vena minerale abbagliante.

 

(*) InvecchiatIGP: no, nella rubrica InvecchiatIGP non parliamo dei problemi geriatrici di qualcuno di noi (anche se sarebbe utile), perché stavolta il nostro intento è quello di andare a scovare e raccontare i vini italiani “non giovanissimi”. Abbiamo pensato a questa dizione perché non parleremo solo (anzi quasi mai) di quelli che vengono definiti “vini da grande invecchiamento” ma cercheremo sorprese, chicche, specie tra vini che nessuno si aspetterebbe, cercando di non tralasciare nessuna tipologia. Troverete spumanti metodo classico e vini bianchi con almeno cinque anni sulle spalle, i rosati con tre mentre per i rossi andremo a considerare una gittata temporale di oltre dieci anni. E’ un viaggio nel tempo dell’enologia italiana, cari lettori!

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