In un denso racconto psicanalitico a cavallo tra assurdo e surrealtà, che sarà presentato stasera a Firenze, Daniele Pugliese veste i panni di una forbita canaglia latina e salva la candida, ma non candidissima Else dal destino scelto per lei dallo scrittore viennese.

 

Non so se quella del racconto psicanalitico sia una categoria che fa parte del corrente sistema di classificazione in uso presso la critica letteraria, o ne sia piuttosto una sottocategoria.
Ma non c’è dubbio che ad essa vada ascritto questo “Io la salverò, signorina Else” (Portaparole Editore, 100 pagine, 14,50 euro), ultima fatica del giornalista (spero la qualifica non lo offenda, visto che è usata in esclusivo senso professionale) Daniele Pugliese, presentato questa sera alle 18 alla libreria Feltrinelli di via Cerretani, a Firenze.
Metto le mani avanti: è un lavoro insidioso da recensire, quello di Pugliese. Prima di tutto perché è denso. E poi perché non è inutile. Non si trattasse di un’opera complessa e, a suo modo, nonostante il lieto fine, tragica, la si potrebbe definire anche un colto divertissement. Ma il suo merito è, invece, proprio sapersi spingere oltre questo limite formale, senza perdere tuttavia la levità dettata dal modello.
Lo spunto narrativo è stuzzicante. E periglioso al tempo stesso: prendere il celebre racconto di Arthur Schnitzler Fraulein Else (1924) e interpolarsi in esso, intrufolarcisi perfino, nel tentativo di cambiarne il corso. Ovvero sottrarre al suicidio la giovane protagonista, nel romanzo originale sottoposta a un laido ricatto da un amico di famiglia.
Ricalcando certe falsarighe teatrali e cinematografiche, oltre che letterarie, Pugliese indossa così le spoglie di un se stesso immaginario (un totale intruso, forse, oppure un personaggio a tal punto minore della storia da risultare, al cospetto di essa, un’impercettibile comparsa, della quale, tuttavia, maliziosamente non si può neppure escludere del tutto l’esistenza), per insediarsi sulla scena in qualità di interlocutore, di sobillatore, di confessore, di alter ego, di coscienza della ragazza. La quale, almeno psicologicamente, pian piano gli si concede. Dando corda così a un dialogo che da un lato non sfugge ai sofismi un po’ canaglieschi dell’italianità confessa di lui e che, dall’altro, sembra far volutamente a pugni con l’implacabile logica della dialettica nordica di Else, di chi la circonda e dello stesso Schnitzler.
Giocata su scambi incalzanti e su finezze logiche a volte non prive di un certo autocompiacimento, da cui echeggiano in terzo e anche quarto grado citazioni ad ampio raggio letterario, la novella lascia comunque il segno e si impone, nonostante la densità del linguaggio e la sottigliezza psicologica dei personaggi.
Proponendosi come un minuscolo appunto vergato a matita sulla grande agenda delle letture, forse. Ma pur sempre un appunto, una notazione che dura. Cosa assai meno frequente di quanto si pensi nel mercato librario e nella sua produzione ad alta digeribilità globale.
Anche perché “Io la salverò” è un’opera che di primo acchito evoca – in me, almeno – parecchie e trasversali reminiscenze. E fa somigliare la lettura all’avanzata in un fitto bosco nel quale, a ogni passo, il maglione ti si impiglia in uno spino, costringendoti a rallentare il passo e a liberarti cautamente, per evitare strappi e punture. Ecco emergere allora gli echi filmici di Guildestern e Rosenkrantz sono morti, perfino i loop musicali frippiani (per non dire della storia) della Babs and Babs di Daryl Hall, gli inevitabili rigurgiti delle pagine meno note di Kafka e pure certi richiami alla fantasia onirica di un Murakami Haruki.
Il tutto in cento pagine che – per capirsi – non sono certo né cento colpi di spazzola, né cinquanta sfumature di grigio.