L’annullamento, a causa delle polemiche sollevate da un riconoscimento attribuito anche al presidente dell’Ordine, del premio al “Giornalista Precario” organizzato per ieri dall’Assostampa dell’Emilia Romagna, ha ridato fuori alle polveri. E mentre sopra la panca infuria la battaglia dei comunicati, sotto la panca i giornalisti italiani crepano.

Se è vero che le separazioni che producono gli effetti più cruenti sono quelle al termine dei matrimoni di interesse, allora la lacerazione in corso (parlare di divorzio vero e proprio mi pare prematuro) tra Federazione della Stampa e Ordine dei Giornalisti ha tutti i connotati per sfociare in una autentica guerra. Le cui scaramucce preventive e i cui casus belli, attentamente ricercati uno per uno dai contendenti, offrono già da soli un quadro sufficiente a rendere l’idea della vastità dell’incipiente conflitto.
Non stiamo ad indagare qui i motivi del dissidio, che affondano le radici nell’italica inclinazione consociativistica e nell’insano gioco di sponda che tutte le istituzioni di questo paese (non solo quelle giornalistiche) sono di riffa o di raffa abituate a tenere con la politica. O meglio, con quella degenerazione della politica che si chiama potere colluso.
Diciamo che la malintesa idea unitaria di un certo moloch professionale ha spinto per decenni OdG e Fnsi a una scomoda, ancorchè a volte vantaggiosa e comunque necessaria convivenza, in un’ottica di alternanza e di scambio di favori i quali, elargiti nell’ottica di mantenere lo status quo, hanno finito per distruggere la categoria. I risultati sono sotto gli occhi di tutti.
E fatemi solo aggiungere che, se proprio si deve prendere le parti di qualcuno, la mia pur critica simpatia va all’Ordine. Il quale ha dalla sua almeno due qualità: rappresenta davvero tutti i giornalisti (essendo questi anche ex lege obbligati a farne parte) e ha avuto il merito di dare per primo fuoco alle polveri, rompendo il muro di reciproca omertà e superando a destra il pachidermico compare sindacale sulla pluriannosa vicenda degli autonomi. Che non a caso (vedi Carta di Firenze) ha provocato forti risentimenti.
Non è molto, ma è pur qualcosa.
Ecco, è in questo clima, frutto di correnti incrociate e di carsici flussi di voti, che la tensione è dapprima maturata, per sfociare poi nel conflitto dialettico e quindi nell’incipiente battaglia campale.
E ora basta il minimo attrito per provocare scintille.
L’ultimo è di questi giorni e corrisponde al patetico caso dell’annullamento, per ragioni di squisita ripicca politica e reciproche accuse di lesa maestà, di un premio previsto per ieri 14 aprile e organizzato dall’Assostampa dell’Emilia Romagna. Il premio era dedicato al “Giornalista Precario” (non mi dilungo, avendolo fatto altrove, di quanto dannosi per la categoria siano questi riconoscimenti pelosi) ed era stato assegnato a Giovanni Tizian, il giovane collaboratore della Gazzetta di Modena finito sotto scorta dopo le minacce ricevute dalla mafia per alcuni articoli “scomodi”.
Quale il problema? Il fatto che, oltre a Tizian, un altro riconoscimento fosse stato attribuito a Enzo Jacopino, il presidente nazionale dell’Ordine.
Apriti cielo. Le polemiche divampano. Segue spaccatura interna all’Aser, polemica urbi et orbi sul web, liti furibonde all’interno dell’Fnsi, dimissioni dei vertici dell’Aser, scambio di accuse e di comunicati al vetriolo tra OdG e Fnsi.
Sulla rete è facile trovare ampia e perfino noiosa traccia della querelle in corso, quindi neppure su questa mi dilungo ulteriormente.
Quello che mi premeva sottolineare è lo stato comatoso in cui versano le istituzioni giornalistiche, afflitte l’una (il sindacato) da un’irreversibile crisi di legittimazione (pur essendo l’unica sigla, riunisce appena il 60% dei contrattualizzati e il 10% degli autonomi) e di frustrazione (cronica incapacità di adeguarsi ai tempi e di opporsi alla caduta verticale dell’occupazione e dei compensi nel settore), l’altra spaventata dagli effetti catastrofici sulla professione provocata dall’inerzia della prima, ma stretta a sua volta tra il proprio immobilismo correntizio, l’assalto ministeriale all’Inpgi e il diktat di procedere celermente a una riforma che pare non essere né nelle sue corde, né nelle sue possibilità.
Il tutto mentre una base allo stremo delle forze e della sopportazione ribolle e deve fare i conti con un mestiere in rapidissima involuzione.
E’ in questo quadro che tra i due sepolcri imbiancati del giornalismo italiano volano stracci.
Sepolti, però, ci stanno finendo i giornalisti.