di URANO CUPISTI
Altro che fughe di un weekend e voli low cost: nel 1976 raggiungere l’arcipelago era un’impresa e visitare le isole minori, come Graciosa, era pure probito. A meno di versare un bigliettone da 100 USd nelle mani del “gerente”, si capisce.

 

Se oggi un viaggio alle Isole Canarie – tra linee low cost e tutti gli aeroporti d’Italia con voli a cadenza giornaliera – è considerato alla stregua di una gita fuori porta, nel 1976 era tutto un altro mondo: restrizioni valutarie, solo compagnie di bandiera, obbligo di passaporto e mille altri ostacoli.

Ma non ero il tipo che mollava e quindi volevo partire. L’avevo promesso a me stesso quasi vent’anni prima, quando le avevo viste solo da lontano durante il mio viaggio in nave da Genova a Jedda.

Trovai quindi, tramite il solito tam tam tra viaggiatori, una compagnia che, oltre ad applicare una tariffa interessante, mi permise di aggiungere anche le destinazioni di Madeira e Porto Santo. Era la portoghese TAP. Il biglietto, non rimborsabile, prevedeva la tratta Milano-Lisbona-Porto Santo-Madeira-Gran Canaria-Tenerife-Lisbona-Milano.

Colsi la palla al balzo. Zaino in spalla, qualche indirizzo di contatti sulle varie isole, la classica Lonely Planet in tasca, parecchi appunti presi durante le mie immancabili ricerche preventive, moleskine nero e via.

Passato da Lisbona solo in transito, a Porto Santo trovai ad attendermi Adamantino che, oltre ad accompagnarmi in giro per l’isola, mi ospitò per cinque giorni nella sua casa a Vila Baleira. Aveva cinque figli, il sesto in arrivo e appena trent’anni. Capii presto il perché: sull’isola i cinema non esistevano e l’unica tv era quella del Centro Militar. Insomma dopo cena il tempo da impiegare abbondava.

Eppure non mi annoiai un attimo. Feci la tradizionale passeggiata al tramonto sul molo di cemento a Vila Balera, luogo per eccellenza di incontri e fidanzamenti, e visitai la casa di Cristoforo Colombo, che qui si sposò e soggiornò per diverso tempo. Le nozze furono celebrate nell’Igreja Matriz, ossia la Chiesa Madre, costruita da poco, nel 1430. Notevole anche il Paços do Concelho, ossia il Municipio-prigione. La cosa più indimenticabile, e infatti la ricordo ancora bene, fu la sensazionale veduta su Vila Baleira e sul resto di Porto Santo che si godeva da da Pico do Castelo e Pico do Facho, con la la terrazza panoramica a oltre 400 metri di quota.

A Madeira, seconda tappa, ero in realtà già stato, ma tornare non mi dispiacque affatto. Anche se solo per poche riuscii a tornare a Santana, un villaggio da favola fatto tutto di casette colorate coi tetti di paglia, e alle spettacolari piscine naturali di Porto Moniz, nelle rocce vulcaniche, dove l’acqua è più calda rispetto a quella dell’Oceano.

Poi, finalmente, toccò alle Canarie.

Il mio programma prevedeva un soggiorno di una ventina di giorni, da suddividere stra le tre isole più importanti: Gran Canaria, Tenerife e Lanzarote. Ma per fortuna decisi di allungare il viaggio fino a quella che si dimostrò la meta più bella di tutte: Graciosa, allora interdetta al turismo. L’imprevista escursione non mi permise di comunicare in tempo alla compagnia la data del rientro e quindi mi costò la perdita di tutti i diritti sul volo di ritorno via Lisbona, ma ne valse la pena.

La Gran Canaria era conosciuta come il “sole dell’Europa”. Sole e spiaggia, natura e paesaggi selvaggi di grande bellezza, il Parco naturale di Tamadaba, la cittadina di Tejeda, Guayadeque, il paesaggio di Risco Caído e le dune del piccolo deserto di Maspalomas, nel sud dell’isola, da dove nelle giornate nitide si riescono a vedere le coste del Marocco e del Sahara Occidentale.

A vedere Tenerife tenevo in modo particolare: aveva quel carattere vulcanico che sembra accompagnarti in un viaggio verso l’origine della terra. Qui raggiungere la cima del Teide, il terzo vulcano del mondo, a 3.718 metri d’altezza, fu la mia sfida. Ore e ore di trekking bello tosto, solo in parte interrotto da una tratta in funivia.

Da un vulcano all’altro, passai a Lanzarote. A parte i paesaggi impressionanti, i luoghi mi suscitarono una sensazione irripetibile, un sentimento ancestrale di ritorno alle origini. Nel Parco Nazionale di Timanfaya, tra orizzonti selvaggi, regnava un silenzio assoluto, appena incrinato sibilo del vento. Le Montañas del Fuego, risalite a dorso di cammello, coi loro variegati colori mi offrirono uno scenario quasi apocalittico, in uno spettro cromatico che andavano dall’ocra alla ruggine, dall’arancio alle sfumature del marron e del nero.

Fu lì che conobbi Cipriano, colui il quale mi persuase a visitare Graciosa.

Era interdetta al turismo anche perché la mancanza d’acqua, che era fornita ai pochi abitanti da piccole navi-cisterna. Arrivarci fu a dir poco avventuroso e legalmente discutibile, ma dopo tutto questo tempo posso anche confessare certi particolari. Il più rilevante è che detti un bigliettone da 100 dollari al “gerente”, che mi stampò sul passaporto un timbro speciale.

Mi immersi così in quelle terre brulle sovrastate dal cono vulcanico di Las Agujas con i suoi 266 metri di altezza. Dalla scogliera di Punta Fariones potei ammirare Lanzarote. A Playa Francesa, una distesa di sabbia allora incontaminata, contemplai il volo degli uccelli marini che lì si rifugiavano.

Alberi? Non pervenuiti. Ombra, poca.

Graciosa me la girai tutta a piedi, fraternizzando coi pochi isolani, per lo più pescatori. Mi nutrii di gallette, latte di capra e tanto pesce. Pernotti in sacco a pelo, si capisce.

Fu un’esperienza che mi lasciò il segno.

Anche nel portafogli. Per tornare a casa dovetti pagare a tariffa piena la tratta da Las Palmas a Milano, via Madrid, con il volo Iberia. Ma anche dopo quasi cinquant’anni posso dirlo: mai soldi furono spesi meglio.