Su Fb un giovane collega ha posto la domanda, solo in apparenza ingenua. La risposta è semplice, ma articolata. Basta osservare la realtà e fare uno più uno tra le cose che stanno accadendo. Anche in questi giorni.

 

Tutto nasce dalla domanda – un po’ seria e un po’ ingenua – che un giovane collega ha posto su Fb sulla più seguita delle pagine per i giornalisti.

Il quesito era il seguente:
Questo fatto che quasi tutte le testate esistenti (che siano quotidiani, TV, radio o web) non paghino i giornalisti comincio a non capirla più. Prima la spiegavo con la crisi, l’informatizzazione, cose così. Ora ci vedo meno chiaro. E guardate che il Covid c’entra poco, solo in parte. Chiedo ai giornalisti più anziani esistenti in questo gruppo: le cose andavano così anche al tempo vostro? Peggio? Meglio?“.
Questioni anagrafiche a parte (hehehe…) ho dato una risposta che, a giudicare dai consensi ottenuti, è parsa abbastanza convincente.
La ripropongo, meglio circostanziata, qui. Convinto che possa essere di utilità generale.
La spiegazione – scrivevo – è molto semplice, anche se consta di più elementi.
Da un lato hai un’offerta da anni in continua espansione, causata dalla liberalizzazione di fatto della professione (il cosiddetto “giornalistificio“) che ha prodotto giornalisti molto di nome e poco di fatto, in gran misura pubblicisti con nessuna professionalizzazione reale. La colpa non è loro, si capisce, ma di un sistema che, a fronte di una professione divenuta pletorica, anzichè alzare le soglie, come si fa sempre per evitare l’inflazione, le ha abbassate, creando migliaia di colleghi pieni di aspettative ma senza alcuna concreta possibilità di trovare sbocchi. E’ stata la stagione che ho chiamato dell’operaizzazione del lavoro giornalistico autonomo. L’aggravante è che, in questo contesto, i giovani non hanno neppure l’opportunità di imparare o di fare esperienza.
Da un altro lato hai redazioni costosissime, difese per decenni da un sindacato che, facendo in ciò senza dubbio un ottimo lavoro, si è concentrato nella tutela di un numero sempre più ridotto di contrattualizzati e ha completamente ignorato (per malizia? Per insipienza? Probabilmente per una micidiale miscela delle due cose) la crescente marea dei non contrattualizzati, consentendo così agli editori di scaricare sugli autonomi i costi di produzione dei contenuti.
Da un altro lato ancora c’è la progressiva sostituzione dei contenuti giornalistici con contenuti “sponsorizzati” o di basso profilo qualitativo, che ha reso sempre più superfluo il ricorso a giornalisti autonomi “bravi” e pertanto con pretese economiche più elevate rispetto alla manovalanza: perchè devo pagare di più qualcuno per fare qualcosa che può fare quasi chiunque a un prezzo dieci volte inferiore? Tale progressiva dilettantizzazione del giornalismo ha trasformato il nostro mestiere da lavoro, cioè un’attività produttrice di reddito, in un hobby. Il risultato finale è che buona parte dei contenuti giornalistici odierni è affidata a dilettanti e/o a chi accetta, vivendo con ogni evidenza d’altro, compensi simbolici o addirittura lavora gratis.
In tale quadro è inevitabile che i compensi precipitino fino ad arrivare al quasi zero di oggi. È un circolo vizioso: la categoria  – nel senso di gruppo sociale organizzato, che raccoglie soggetti dotati di comprovata capacità professionale – è divenuta non solo superflua, in quanto costituita prima prevalentemente da un “proletariato professionale” affamato e disposto a tutto e oggi da sostanziali dopolavoristi, ma facilmente fungibile attraverso il volontariato puro (spesso alimentato dalla vanità).
E purtroppo non finisce qui.
La progressiva delegittimazione del giornalismo come professione e quindi come attività lavorativa dotata di un necessario apparato deontologico, è sfociata nella convinzione dell’opinione pubblica, subito furbescamente cavalcata dalla politica, che l’informazione possa, anzi abbia il diritto di farla chiunque e che pertanto le chiacchiere, ad esempio sui social, possano sostituirla o equivalgano ad essa.
Eccoci allora alla reale chiusura del cerchio: privati i giornalisti della propria funzione (e del reddito, il che è lo stesso) e convinta la gente della loro inutilità, si è passati al progressivo accreditamento, come fonte di notizie, dei “comunicatori“. In pratica, reclame e informazione, giornalisti e testimonial sono sempre più messi sullo stesso piano, creando così un’enorma massa grigia e ambigua. Solo che i primi non li paga più nessuno, mentre i secondi le aziende fanno la corsa a ingaggiarli (e il popolo bue ad abbeverarsi alle loro pur legittime, anzi spesso dichiarate, marchette) perchè, si capisce, convincono i follower ad acquistare i prodotti che la stampa dovrebbe invece, con imparzialità, criticare.
Come? Tutto questo vi ricorda qualcosa? La guerra ai giornalisti, l’inserimento dei “comunicatori” nell’Inpgi2? L’abolizione dell’Odg? Gli slittamenti delle elezioni dell’Ordine? Le riforme surrettizie nascoste negli emendamenti dei decreti governativi anzichè discusse in Parlamento?
Ma no, come siete maligni