Incredibile dictu: l’outing dei freelance italiani, da me appena proposto (qui) e ancora in fase di elaborazione tecnica, ha già parecchi tra nemici, contestatori, diffidenti, dietrologi, pavidi. La domanda è spontanea: perchè?

Quattro gatti.
Siamo quattro gatti. Lo so già, ancora prima di cominciare. I giornalisti freelance sono una razza in via di estinzione, strangolata dal mercato drogato, dall’abusivismo, dal dilettantismo, dal volontariato, dall’operaizzazione della professione e da un assenteismo sindacale cronico.
E’ un mestiere che non è più tale, perchè non ti consente di vivere, nemmeno arrangiandoti.
Bene (cioè, male).
E allora, come si fa con la foca monaca e la tigre del Bengala, mi è venuta l’idea di dire: contiamoci! Quanti siamo rimasti in attività? Cinquanta, trecento, mille?
No, perchè qui bisogna capirsi.
Nessuno o quasi ci sopravvive, è assodato. Eppure tutti si proclamano freelance. Si arrabbiano se glielo contesti, sono disposti a fare carte false per mettersi la patacca della libera professione sul petto. Pare che, se uno non può dirsi freelance, ci passi da cretino. Boh!
Insomma mai mi sarei aspettato che, accanto a tanti consensi, la mia idea facesse nascere tanti mal di pancia. Espliciti e meno espliciti.
Qualcuno mi contesta di essermi ritagliato una definizione di freelance a misura (come se avessi qualche interesse a cucirmi la fattispecie addosso), senza capire che invece ho fatto il contrario: ho preso dalle norme vigenti tutte quelle che riguardano la libera professione, le ho unite a quelle specifiche della professione giornalistica e ho elaborato un modello di freelance.
Il seguente: è giornalista freelance chi è iscritto all’OdG, è titolare di partita iva, è iscritto all’Inpgi 1 o 2, ricava dall’attività professionale la parte prevalente del proprio reddito ed esercita la professione in rapporto con una pluralità di committenti.
Certo, lo so anch’io che, di fatto e per mille anche legittime ragioni, molti sono freelance ma non hanno la partita iva. O (ma questo è più grave) non sono iscritti all’Inpgi.
Rimando però tutte le argomentazioni sul tema ai commenti e alle relative risposte del post menzionato sopra.
Ora invece vorrei capire: perchè tanti nemici del censimento?
La prima spiegazione è che ai professionisti, ai militanti, ai teoreti del precariato indistinto, coloro che per sommo studio o per vocazione amano mobilitare le masse, non fa piacere che la gente capisca che, all’interno della massa e contrariamente a quello che si è tentato per anni di fargli credere, esistono categorie diverse e spesso contrapposte. Differenti e con differenti interessi, non una migliore dell’altra. Diversi e basta, appunto. Poi ci sono quelli che a lungo hanno raccontato perniciose sciocchezze ai colleghi (del tipo: l’Inpgi non è obbligatoria) e ora, se si scopre che non era vero, non sanno come fare a disimpegnarsi. Inoltre ci sono quelli in buona fede che credono che essere o potersi definire freelance, anzichè collaboratori o altro, sia più “ganzo” e non vogliono passarci male. Ci sono parecchi ai quali è stato fatto credere che erano freelance, loro ci hanno acriticamente creduto e ora non saprebbero più che fare se scoprisserro di essere giornalisti di altro tipo. C’è il nutrito gruppo di coloro i quali, avendo dato dei freelance una definizione diversa, si sentebbero delegittimati se la mia dovesse prendere piede o essere riconosciuta calzante dai colleghi. Ci sono quelli che (spesso per ritagliarsi ruoli da leader, poltrone e poltroncine, costumi da capopopolo o solo per avere visibilità) sguazzano nell’ambiguità del lavoro autonomo e sotto un’unica campana confondono, con risultati esiziali, liberi professionisti e precari, abusivi e collaboratori.
E poi, sia chiaro, ci sono anche parecchi i freelance riluttanti a farsi censire.
Come mai? Per una ragione paradossale: temono (senza dubbio a ragione) che il mondo si accorga che siamo davvero rimasti quattro gatti. Forse tre addirittura. E che quindi, per buttarla in numeri, si conta come il due di briscola. O quello non di briscola.
Ma a costoro rispondo: e allora? Occultare la realtà aiuta a mutarla? Negarla consente di migliorarla?
Io non credo.
Ed è per questo che rinnovo l’invito prima a “riconoscersi” come libero professionsta e poi a partecipare senza esitazioni al censimento.
Dopo potremo sempre dire di essere “pochi ma buoni”. E affidarci con fiducia al WWF.