Da mesi il tema del futuro dell’OdG e della professione giornalistica è caduto nel dimenticatoio. O nella mordacchia. Eppure pareva a molti, me compreso, una questione palpitante. Menga ci cova.

 

Dopo tanto chiasso autunnale, sul futuro dell’Ordine e su quello dei giornalisti in generale è calato il silenzio. Il che non vuol dire che nelle segrete stanze non se ne parli, ma evidentemente in termini di impatto sull’opinione pubblica e sugli stessi giornalisti, forse troppo impegnati a sopravvivere giorno per giorno nella giungla professionale, l’argomento ha perduto un po’ di presa. Quindi si preferisce fare melina su argomenti defunti che non intaccano lo status quo.
C’è da chiedersi il perchè.
La prima ipotesi, che non ne esclude altre, è che avvicinandosi le elezioni si ritenga saggio infastidire i media (o il governo) il meno possibile: potrebbero sempre tornare utili.
La seconda, non meno verosimile, è che anche in alto loco si sia compreso che all’eutanasia della categoria è di gran lunga preferibile il lento, quasi inavvertibile ma inesorabile suicidio che la categoria stessa sta mettendo in atto da anni.
La terza, tutt’altro che peregrina, è che alla questione si applichi la strategia dell’immobilità, detta anche legge del menga: se nulla si muove, nulla muta e lo stato di fatto è salvo (a chi o a cosa serva un simile stato di fatto è altra questione).
Intanto, sotto gli occhi degli organi di informazione, la rete brucia ogni potenziale notizia sottraendola a qualsiasi verifica o approfondimento e trasformandola, così, in volatile propaganda sempre buona per tutti gli usi.
Hanno vinto loro? Forse.
Più probabilmente, gliel’abbiamo lasciata vincere.
Un altro triste aspetto della fase terminale del menzionato suicidio di massa.