di ANGELO PERETTI
NEBBIOLO SECONDA/3. Sia chiaro: quando parla d’età il Peretti parla per sè, ma sul resto racconta cose giuste e belle. Ad esempio la storia e i vini di un’azienda antica e saggia.

Erano gli anni Novanta. Una sera tornava amareggiato da una degustazione. Era stata un disastro. Aveva portato il suo Barolo. Tradizionale, colore scarico, botte grande, macerazione lunga. Gli avevano detto che con quel vino non sarebbe andato da nessuna parte, che il mondo voleva altre cose, più immediate, più scure. Pensava di dover cambiare tutto. Lo confidò alla nonna, che aveva più di ottant’anni, e lei gli disse di stare attento, perché la moda dura cinque secondi, e al sesto sei già vecchio.
A raccontarmelo è stato Luca Currado. Ha casa e cantina a Castiglione Falletto, Piemonte. La casa sta in paese, a due passi dalle mura vetuste della fortezza quadrangolare voluta dai marchesi di Saluzzo. La cantina si chiama Vietti ed è un nome famoso. Ha vigne disseminate qui e là in terra di Langa. In tutto 35 ettari, forse qualcosa di più. Le bottiglie, in tutto, sono intorno alle 250 mila, le etichette un bel po’. Metà dell’uva è nebbiolo.
Non gli ho chiesto il nome della nonna, ma che sia benedetta la sua saggezza. Perché lui ha capito. Intendo dire che ha capito che se ti metti a rincorrere sarai sempre in ritardo. Meglio essere se stessi. “Per questo sono andato avanti secondo la tradizione, coi miei colori chiari, anche se negli anni Novanta all’estero il colore chiaro proprio non lo volevano”, mi fa. Oggi i rossi dal colore più chiaro stanno tornando d’attualità. La storia è una ruota che gira. Bisogna farsi trovare pronti.
L’azienda si chiama Vietti perché a fondarla, sul finire dell’Ottocento, fu Carlo Vietti. Poi venne il turno di Mario, il figlio, che nel 1919 iniziò a produrre vino col nome di famiglia. Nel ‘57 Alfredo Currado, enologo, sposa la figlia di Mario, Luciana. Si mette in testa di vinificare separatamente le uve di singoli vigneti, secondo l’idea, poco di casa in Piemonte, dei cru, e così nel ’61 ecco che escono il Barolo Rocche e il Barbaresco Masseria. Nell’83 entra in azienda Mario Cordero, che ha sposato una delle figlie di Alfredo e Luciana. Si concentra sulla promozione e sull’ampliamento dei vigneti. Luca Currado comincia a vinificare nel’92. Ha fatto esperienza in giro per il mondo, è il tempo di sostituire il padre. Grosso modo la storia aziendale è questa.
Ne ho assaggiati un bel po’ dei vini di Vietti una sera che sono andato a fargli visita insieme con gli IGP, acronimo de I Giovani Promettenti, che saremmo poi un gruppo di gente che scrive di vino e che di giovane e di promettente ha – ahinoi – poco (leggasi Macchi, Pignataro, Colombo, Giuliani, Tesi, Petrini e il sottoscritto).
La sala nella quale vengono accolti gli ospiti è carina e mica tanto grande, ed è una fortuna, visto che Luca doveva fare il funambolo a versar vini e dare spiegazioni non solo per noi, ma anche per un gruppo di ristoratori e buyer esteri, e doveva in contemporanea esprimersi in italiano e in inglese. Complimenti per la flessibilità.
Poi, sia chiaro, questi qui son barolisti, ed è del Barolo, soprattutto, che Luca parla con l’affetto d’un figlio verso il padre amato. “Non abbiamo mai cercato di fare vini che abbiano una piacevolezza immediata. Abbiamo sempre fatto dei Barolo longevi. L’idea è di farli come è il loro terroir. Se vuoi vini di piacevolezza immediata beviti un Dolcetto, non un Barolo”, dice, prima in inglese e poi in italiano.
Poi aggiunge che “una grande annata del Barolo è quando c’è una grande differenza tra i singoli cru”. Giusto per rimarcare la scelta di famiglia.
Ancora: “Col nebbiolo ci vuole il coraggio di fare macerazioni o molto corte o molto lunghe, e noi siamo per le macerazioni lunghe”. Il che fa capire lo stile dei vini“.
Ah, già, i vini. Ora dico qualcosa di quelli assaggiati, e solo in poche parole ciascuno, sennò ne esce un pistolotto che non finisce più, e si perde la visione d’assieme.
Barbera d’Asti La Crena 2011
Che bel naso! Frutti e fiori. Ha una freschezza che rende il vino gastronomico, chiama una merenda o una cucina campagnola.
Barbera d’Alba Vigna Vecchia Scarrone 2012
La vigna è vecchia davvero, del 1918, tra le poche di barbera rimaste nella zona ora votata al Barolo. Potente, tannica, rustica, fruttatissima.
Langhe Nebbiolo Perbacco 2012
Se mi avessero detto che è Barolo ci avrei creduto. Però in casa Vietti un Barolo “base” non si fa, e dunque questo rosso si vende come Langhe.
Barolo Castiglione 2011
Il colore è quello scarico che mi aspetto dal nebbiolo. Giovanissimo, da aspettare, ha però una florealità che lo rende già gradevole.
Barbaresco Masseria 2011
Dice Luca che è un Barbaresco anomalo, perché da barolisti lo fanno un po’ più ricco di corpo e tannino. Mi piace quel succoso sentore agrumato.
Barolo Ravera 2011
Lo mettono in botte grande e resta lì finché spontaneamente non mette fuori il frutto. Ecco, il fruttino c’è. Chiede lunga e paziente attesa.
Barolo Rocche di Castiglione 2010
Non aspettatevi il carrarmato che vorrebbe certuni da un 2010. Questo gioca sulla finezza, te ne accorgi già dalla complessità dei profumi.
Barbera d’Asti La Crena 1998
Notare l’anno,’98. Eppure è ancora molto, molto fruttata questa Barbera. Ha tuttora una freschezza e una beva invidiabili.
Barolo Castiglione 1996
Che caratterino che ha ‘sto vino. Poi, le vene terziarie del cuoio e della terra e della liquirizia. Ma mano si apre verso i fiori essiccati.
Barolo Brunate 1998
Urca che buono! Tannino vivido e ruspante. Nette presenze officinali. Foglie secche. Asfalto. La liquirizia, certo. Cappero salato. Averne.

Vietti
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