I tre giorni trascorsi alla Vinisud di Montpellier sono stati illuminanti su molte cose: i pregi e i difetti delle piccole fiere, l’importanza dei dettagli per migliorarle, la mediocrità della cucina francese corrente e l’indispensabilità – per qualunque giornalista – di andare in giro a vedere di persona le cose prima di pronunciarsi. Sul Vinitaly e sul resto…

Dopo tre giorni nella bella Montpellier a visitare Vinisud, la fiera dei vini del Mediterraneo (ma in realtà al 95% dedicata alle produzioni della Francia meridionale, con qualche etichetta spagnola, sparute presenze italiane e pochissimi espositori tunisini, algerini, maltesi e libanesi), il bilancio è positivo.
Buona e divertente la compagnia compagnia (merci a Carlo Macchi), avventuroso quanto basta il viaggio, interessante la kermesse.
Diciamo subito che Vinisud è una fiera regionale, che non ha le dimensioni, la partecipazione (circa 1.650 i produttori presenti) e quindi la logistica di un megaevento tipo Vinitaly. Ogni paragone sarebbe pertanto improprio, ma qualche raffronto ragionato può essere utile.
Partiamo da quella che per condivisa opinione è stata la sorpresa più lieta: una grande sala ad accesso libero (ma Vinisud, nota bene, è riservata agli addetti ai lavori ), ove si trovano in degustazione altrettanto libera tutti i vini che gli espositori ritengono, in cambio di una modesta mercede (50 euro?), di presentare. Noi ne abbiamo contati 2.046, disposti su 33 ordinatissimi e pulitissimi tavoli. Il bicchiere si ritira all’ingresso e ci si serve da soli. Con discrezione, gli addetti vigilano per la sostituzione delle bottiglie vuote, lo svuotamento delle sputacchiere nei corridoi, eccetera. Davanti a ogni bottiglia (disposta secondo un criterio di area di produzione), una completissima scheda con nome del vino, nome del produttore, indirizzo, denominazione, referente commerciale, ubicazione dello stand in fiera, vitigni utilizzati, annata, gradi alcoolici e altre note). In poche parole: una situazione ideale per dedicarsi con calma, senza ansie, nè perdite di tempo, nè inutili convenevoli, nè estenuanti spostamenti a degustare tutto ciò che si vuole, sbizzarrendosi nella scelta, senza limiti di numero o di tempo, in un contesto tranquillo e professionale.
Una formula azzeccatissima, insomma, perfino innovativa, che sarebbe auspicabile fosse adottata, almeno per gli addetti ai lavori e per la stampa (e con gli opportuni filtri a monte) anche al Vinitaly e nelle rassegne consimili.
Altra formula azzeccata (ma possibile solo con un numero ragionevolmente limitato di presenze) quella di mettere a disposizione di ogni giornalista, all’ufficio stampa, una vaschetta nominativa dove pr e organizzazione possono depositare inviti, depliant, comunicati: una forma di personalizzazione utile, che limiterebbe molto l’abituale “semina” a caso che si registra di solito e la distribuzione mirata del materiale illustrativo.
Detto questo, Vinisud ha una formula sobria: pochi stand megagalattici, padiglioni così così (ricordano molto la vecchia fiera di Milano, con i “transiti” all’aperto tra l’uno e l’altro), ridotta presenza di “merenderi” con salatini, salamini, assaggini e formaggini, punti di ristoro non tonitruanti nè per prezzo nè per presunta offerta gastronomica. Tutto molto serio, senza fronzoli, per un pubblico tecnico. Le piccole dimensioni facilitano l’orientamento assai più delle non chiarissime indicazioni.
L’accredito on line consente di stamparsi da soli i pass a casa e di accedere in fiera senza dover fare ridicoli riaccrediti, quindi niente code.
Code che invece si fanno in macchina all’arrivo e all’uscita dalla fiera (per carità, nulla di veronese, ma siamo anche a un decimo delle dimensioni e delle presenze).
Certo, non tutto è perfetto. I convegni (dal tema sovente interessante, come il rapporto tra blogghismo e informazione vinicola) non prevedevano ad esempio la traduzione simultanea, mentre sale e amplificazione lasciavano spesso a desiderare.
Molte, naturalmente, le piacevoli scoperte fatte assaggiando qua e là, sia sotto il profilo della qualità assoluta che su quello del rapporto qualità/prezzo, nonostante, va detto, una certa piattezza generale e un gusto spesso (anche nella grafica e nel packaging) american oriented che forse non era del tutto atteso tra gli sciovinistiossimi vignerons francesi.
Note liete anche da Montpellier (un’ex cittadina divenuta oggi, con i suoi 250mila abitanti, l’ottavo centro della Francia), con la sua bella, funzionalissima, coloratissima tramvia e il suo ordinato centro storico, il curioso, nuovo (ma semideserto) quartiere monumentale dell’Antigone, la vitalità giovanile legata all’università. L’eccezione negativa è stato un panorama gastronomico (affrontato volutamente “da stranieri”, affidandosi cioè al caso e alle prime impressioni) piuttosto mediocre, standardizzata e livellata su una qualità decisamente “turistica”, con prezzi non altissimi ma comunque al di sopra della sostanza riscontrata. Un piccolo autogol, forse, per una città che ospita per tre giorni i produttori, gli amanti, i giornalisti e i professionisti del vino di metà della Francia e organizza una fiera che si autodefinisce dedicata ai vini del Mediterraneo.
Morale della favola: bisogna andare sempre a “vedere” le cose, mai accontentarsi dei racconti altrui o dei pregiudizi, buoni o cattivi che siano, per scoprire che tutto il mondo è paese e che spesso le grandi differenze dipendono dai minimi dettagli.
Ad esempio, proprio di ritorno dal Vinisud ho ricevuto istruzioni sulle nuove (un po’ farraginose in verità) modalità di accredito al Vinitaly 2010. In apparenza dovrebbero essere più restrittive che in passato e in teoria arginare sul nascere l’ondata meticcia che di solito si riversa sull’ufficio stampa della fiera veronese. Speriamo solo che sia un sistema serio, non solo scioccamente rigido.