Edoardo Borghini, livornese, e Edo Avi, bolzanino, mi mandano a sorpresa i loro nuovi EP. Nulla e tutto li accomuna. Ma alla fine trovano il punto d’incontro in un approccio artigianale alla musica che l’intervento di nessun produttore sembra – per fortuna – capace di poter rimuovere del tutto.

Metti che in tempi diversi, ma in circostanze simili, ti piovano sul tavolo due cd.
Nessuna nota, nessuna presentazione. Giusto un po’ di canzoni, il nome dell’autore, i titoli dei brani.
Musicisti italiani, a te sconosciuti.
Per il critico che, come me, ama i confronti alla cieca, è una bella sfida.
Un po’ di ascolti, le prime impressioni. Partono le indagini. Ti fai un’idea. E l’idea è che due musicisti abbiano poco in comune. Uno è più navigato, l’altro meno. Appartengono a generazioni diverse. Eppure qualcosa li unisce. Non la lingua, è ovvio, anzi scontato. Neppure la condivisa e pur confessata vena melodica.
E’ qualcos’altro, ma non ti viene. Ci pensi. Con uno dei due avvii un lungo dialogo fatto anche di considerazioni e perfino di consigli. E alla fine ti ritrovi ad aver seguito quasi passo per passo le incisioni e la loro evoluzione. Con un altro, volutamente niente. Riascolti tutto e finalmente ti si accende la lampadina: ciò che li assimila è il mood, l’approccio alla musica, un’inclinazione artigianale da cui – ed è un pregio – le composizioni non riescono mai a liberarsi nonostante l’intervento di ingegneri e produttori, mantenendo così qualcosa della loro originalità primordiale.
Edoardo Borghini (qui) è livornese e il suo EP è uscito nella scorsa primavera. Non ha titolo, solo cinque canzoni in italiano e in inglese. Lui si confessa influenzato dal britpop e dai cantautori italiani, io ci ritrovo echi del filone melodico che ha percorso la musica d’autore italiana a cavallo tra gli anni ’90 e 2000 e anche certe sonorità, effettivamente british, che ricordano i Dream Academy e gli Everything but the girl.
Quello che piace del disco sono una certa perizia strumentale e anche la vena acquarellistica, chiaroscurale, che pervade tutte le composizioni, sintomo di un’espressività non artefatta e di una produzione tenuta prudentemente (a volte troppo) sotto controllo. Il frutto sono sonorità scintillanti, begli impasti sonori e una separazione tra gli strumenti che consente di apprezzare la complessità degli arpeggi. Meno convincenti sono la voce e soprattutto i testi, un poco scolastici e responsabili, talvolta, di stornare l’orecchio dalla bontà della musica. Un peccato, perchè alcune tracce di Borghini (“Ricordi“) non sono prive di fascino, mentre altre (“Friends”) rivelano una potenziale commerciale che forse potrebbe essere meglio valorizzato.
Alla fine, del cd resta l’impressione di un’ispirazione solida, ma ogni tanto monocorde, buone canzoni che tendono a somigliarsi troppo tra loro, privando così l’EP del senso di una naturale sequenza. La brillantezza del suono, senza dubbio apprezzabile, tende in certi casi anche a giocare contro la godibilità delle parti cantate, relegandole in secondo piano. Sebbene questo sia probabilmente più un problema di missaggio e di produzione che non di scelta consapevole dell’artista. Al quale, in un’intervista immaginaria, chiederemmo allora: fino a che punto questa è un’opera finita e verso quali approdi artistici egli intende realmente orientarsi, il puro pop o la canzone d’autore?
Edo Avi non è più un giovanissimo (classe 1961) e vive in alto Adige, in Val Venosta. Musicista, artista e illustratore.
Il suo EP, “Come un fiume“, che giunge dopo altre due esperienze discografiche e una lunga carriera di performer, ha una storia vecchia ormai di qualche anno: un tempo durante il quale Avi ha maniacalmente inciso e reinciso più volte, nel suo home studio, le quattro canzoni di questa raccolta di imminente pubblicazione, alla ricerca di un bandolo che nelle precedenti occasioni era forse sembrato sfuggire, a volte irrimediabilmente.
E invece, a sorpresa, dopo molti mesi ecco planare nel mio lettore un cd che fa tesoro delle antiche incertezze di orientamento e dell’intervento del produttore e polistrumentista spezzino Max Marcolini (Zucchero), esecutore con Avi (chitarra ritmica e voce) di tutte le parti strumentali ad eccezione delle percussioni, affidate a Dario Carli.
Il risultato è godibile: uguale e contrario, però, a quello di Borghini.
Vocalmente ben dotato, con un timbro potente, caldo e nasale, Avi brilla senza dubbio di meno sul piano della tecnica strumentale, ma supera il collega su quello dei testi. E se l’impronta melodica e romantica del primo insiste sui toni intimistici, Edo preferisce appoggiarsi alle liriche per seguire, sul piano musicale, le cadenze ritmate e uptempo di certo pop/rock contemporaneo, circondandosi di suoni ariosi, di un beat marcato, di arrangiamenti levigati che in definitiva danno alla musica il sentore di un approccio molto radiotelevisivo.
E così, se “Come un fiume” (http://www.filebig.net/files/we5re5npn9 ) conferma, affidata alle mani di Marcolini, tutti i suoi già evidenti numeri per sfondare commercialmente, lo stesso potrebbe dirsi per “Dolce Aurora”, un brano del 1998, mentre gli arrangiamenti un po’ invadenti tendono a penalizzare la freschezza di “Sono vivo” e di “Verrà”, gli ultimi due brani del cd, a cui forse un ritocco in chiave più ruvida e roca gioverebbe assai in efficacia.
Rimangono tuttavia la buona impressione generale e la curiosità di risentire i brani eseguiti dal vivo.
Domanda finale: che ne pensi della definizione “per gli appassionati del versante fm della musica sanremese”?