di FEDERICO FORMIGNANI
Tra il IX e il XIII secolo boia, manigoldi, scalabrini, conciatori, prostitute, bari, giullari, barattieri, tenutari e tanti altri mestieri hanno avuto una vita difficile…

 

I secoli dell’Alto e Basso Medioevo hanno visto profondi sconvolgimenti nella vita delle persone. Tutti si “davano da fare”, nel senso più materiale del termine, per riuscire a ritagliarsi uno spazio di vita che fosse il meno complicato possibile, dovendo destreggiarsi all’interno di un articolato mosaico di situazioni storiche, politiche, commerciali. Si trattava, in buona sostanza, di approfittare delle numerose possibilità di vita e di lavoro per sé e per i propri familiari, all’interno di comunità etniche, politiche e religiose profondamente diverse le une dalle altre, in stretta relazione a come si “muovevano”, sul territorio, i centri del potere. Tutti avevano quindi bisogno di lavorare e non tutti i lavori – per molteplici ragioni – godevano di buona fama.

Nei secoli IX e X il diritto canonico condannava tutte le professioni che avessero a che fare col “sangue”. Venivano esentate dal pubblico ludibrio le professioni militari (anche se uccidevano, eccome!) proprio perché preposte alla salvaguardia dei regni, dei ducati, della fede, delle classi aristocratiche. Gli altri contatti col sangue, venivano di regola discriminati. Quali categorie erano definite “impure”? Quelle dei boia, dei carnefici; quindi dei medici chirurghi, dei barbieri, dei macellai, più una serie di altri mestieri indecorosi, compresi quelli che avevano a che fare con la prostituzione, il gioco d’azzardo. Persino i girovaghi, nella loro scelta di libertà di movimento, non avevano vita facile.

La pena di morte, la tortura, erano praticate con grande frequenza. Il boia era dunque in cima alla lista dei lavori sporchi, anzi sporchissimi, anche se in occasione di esecuzioni capitali la folla si radunava nelle piazze, ai piedi del patibolo, per godere dello spettacolo, mettendo però sullo stesso piano morale sia il condannato che il carnefice, che veniva giudicato dalla perizia con la quale svolgeva il proprio compito. Poteva succedere che anche il boia venisse condannato per azioni riprovevoli; toccava all’ora ad un suo collega eseguirne la decapitazione o l’impiccagione. Si sono verificati casi in cui un condannato a morte, per ragioni o circostanze varie, venisse utilizzato come boia; in tal caso il “manigoldo” (questo il nome che gli veniva dato) era passibile di grazia. I carnefici venivano reclutati fra le fasce più reiette ed evitate della popolazione: fannulloni e nullatenenti, stranieri, individui entrati nel giro della criminalità, persone del contado che nel meridione d’Italia venivano chiamate “scalabrini”. I boia potevano essere reclutati anche tra i “barattieri”, professionisti del gioco d’azzardo; questi non si limitavano al solo atto finale, ma prima, a seconda delle pene inflitte dall’autorità, potevano eseguire le fustigazioni, le torture di vario genere, persino l’amputazione di membra del corpo.

C’erano poi un numero considerevole di mestieri e di occupazioni che suscitavano il disprezzo generale. In primo luogo, tutti i lavori che avevano attinenza con la sporcizia in genere. Pulitori di pozzi o fogne, di camini; quindi lavandai, cuochi, conciatori e tintori. In questi casi era necessario maneggiare resti di animali, acidi o sostanze vili quali ad esempio l’urina impiegata per macerare e decolorare materiali grezzi. Altra categoria discriminata, quella dei girovaghi, rappresentati ad esempio dai militi erranti (allo sbando dopo sconfitte) trasformatisi in pericolosi individui alla ricerca di facili guadagni col saccheggio, le imboscate, eccetera; oppure giovani scapestrati, piccoli criminali, quindi giullari, istrioni e buffoni magari non più inseriti in una Corte nobiliare. Celebre, tra gli istrioni del tempo, tale Bernardo di Nerino che possedeva una repellente e allo stesso tempo “magnetica” specialità nelle sue esibizioni nelle piazze di città e paesi: si metteva in bocca scorpioni, rospi o altri insetti velenosi che schiacciava coi denti, ingurgitandoli. Il popolino raccontava che una volta riuscì persino a superare una malattia da tutti ritenuta incurabile; probabilmente disponeva di una tempra robustissima, il girovago Bernardo!

Un’altra categoria di persone che non godeva di alcun rispetto in società, era quella dei professionisti del vizio: tavernieri, prostitute, custodi di bagni pubblici, tenutari di bordelli, bari. Le autorità religiose consideravano queste persone “impure” e per conseguenza non potevano ambire a ricoprire cariche pubbliche e finivano quindi per essere relegate ai margini della società.

Col trascorrere del tempo, molti mestieri – utili per il progresso civile – hanno visto cadere l’ostracismo generale, assumendo addirittura un ruolo di primaria importanza e rispetto nelle città e paesi d’Europa. Un esempio su tutti: il “mercante”, cui hanno fatto seguito le riabilitazioni di artigiani e commercianti, riuniti in consorterie e corporazioni.