Si chiude domani la 31esima edizione, ma già ieri c’era aria di smobilitazione. Effetto della crisi del glorioso appuntamento, del modello-fiera in generale o del turismo tout court? Una cosa è certa: per “peso” e volume, oggi la Bit potrebbe tornare al Fieramilanocity.

Sparare alla croce rossa non è un bello sport e io non lo pratico.
Quindi eviterò di infierire, non foss’altro per ciò che l’evento in tanti anni mi ha dato, sulla deprimente edizione 2012 di quella che fu una delle più importanti, se non la più importante fiera del turismo d’Europa: la Bit.
Un appuntamento in effetti a lungo irrinunciabile per operatori, agenzie, compagnie, enti del turismo, giornalisti. E pubblico, naturalmente. Ma che a poco a poco ha perduto il suo appeal e, di conseguenza, la sua importanza. Al punto da ridursi alle dimensioni di una manifestazione minore. Complici, ammettiamolo, anche gli enormi spazi dei padiglioni disegnati da Massimiliano Fuksas, che fanno apparire tutto piccolo e che si tenta pietosamente di riproporzionare allargando i corridoi, moltiplicando le aree relax e tirando tendoni a dividere le sale. Ma è inutile: la “grande Bit” è un lontano ricordo.
Diciamo subito, però, che la “colpa” della crisi non è solo degli organizzatori, bensì di una serie di concomitanze. Le difficoltà economiche che hanno pesantemente colpito il settore, dimezzandone gli introiti e quindi i budget; il parallelo e consequenziale lievitare dei costi, che ha reso spesso non conveniente la partecipazione degli espositori (clamoroso, quest’anno, il forfait della Francia, forse lo stand più grande tra tutti gli enti partecipanti); la circolazione e la diffusione delle informazioni via web. La quale, oltre che infinitamente meno costosa rispetto a quella cartacea e tradizionale, è anche infinitamente più pratica e duttile. E poi il progressivo prosciugarsi dell’aspetto spettacolare e gadgettistico che, alla fine, ha lungamente costituito un polmone vitale per l’afflusso dei visitatori.
In questi giorni circolava una voce: pare che, secondo la statistica compilata dal responsabile dell’ente turistico di un importante paese europeo, da qualche anno assente in fiera, appena il 2% di chi si avvicina a uno stand si trasformi davvero in un turista o almeno pianifichi seriamente di visitare quella destinazione. Insomma, oggi una fiera come Bit comporta un costo/contatto elevatissimo, che ha spinto molti espositori a investire diversamente i loro budget, privilegiando gli appuntamenti B2B e gli eventi stampa.
Già, la stampa. Quella che una volta si chiamava “di settore”. Un mesto via vai di reduci impegnati a ricordare il bel tempo che fu, un’editoria dedicata quasi scomparsa, un associazionismo che sopravvive più per non chiudere che perchè esistano concrete ragioni di servizio.
Eppure, a pensarci bene, forse le cause profonde del tramonto di una fiera in fondo divertente, eccitante, adrenalinica come fu la Bit degli anni d’oro sono altre: non di sogna più, non si desidera più. Il virtuale ha superato il reale, il vero delude al cospetto del posticcio. La savana senza insetti e il guerriero masai ritoccato fino a farne un fotomodello alla fine piacciono di più dell’avventura. Prima viaggiare costringeva a entrare in contatto fisico con il mondo che ti ospitava: a volte poteva non essere bello, ma te lo ricordavi tutta la vita. Oggi hai aria condizionata a prova di Dancalia, piumini a prova di Siberia, accampamenti a cinque stelle, superassicurazioni anche contro la pioggia e organizzazioni a prova di imprevisto. Il viaggio è una parentesi tra comfort degni di casa tua. E’ come un calcio senza tifo: la partita si vede meglio dal divano del salotto che dagli spalti. Mi basta sapere quanto spendo, cosa mangio e se l’iphone prende, così dal Sahara posso chattare con gli amici al bar. Non mi passa la voglia di partire, ma quella di alzare lo sguardo. E pure di andare alla fiera immaginando di farlo.
Bye bye Bit.