Il Gruppo Matura ha organizzato per la stampa una degustazione selettiva di vini provenienti da vitigni tipici della regione. Il risultato? Un collage di scoperte interessanti in cui “mano” dell’enologo, territorio, varietà e coraggio del produttore fanno la differenza, allontanandoci dall’omologazione.
Esiste solo un metodo, per farsi un’idea chiara delle cose, più efficace ed onesto che metterle a confronto, una accanto all’altra: confrontarle senza saperne nulla, salvo ciò che esse dicono da sole, esplicitamente. Nel caso del vino: il colore, il profumo, il sapore. E solo dopo andare a vedere di che si tratta, darsi spiegazioni, raffinare impressioni, circoscrivere i giudizi.
Lo applico ormai da parecchi anni, proprio per non farmi influenzare. Anche nelle degustazioni guidate: appena pronti i bicchieri, parto senza aspettare nessuno. Pur sapendo che non è educatissimo nei confronti di chi ti ospita e di chi conduce le operazioni, il quale spesso non ama (dal suo punto di vista, giustamente) essere preceduto. Ma il fatto è che, dopo aver assaggiato per conto mio, trovo le considerazioni altrui molto più interessanti.
Tutto questo per dire quanto ho gradito l’opportunità offertami giorni fa dal Gruppo Matura – la squadra di enologi, agronomi e consulenti per l’impresa con sede a Vinci e presieduta da Emiliano Falsini, da poco (ri)costituitasi in associazione – di assaggiare una selezione di vini provenienti da vitigni autoctoni toscani “minori, ma non troppo” e curati, ovviamente, dai tecnici del Gruppo. Una selezione resa interessante tanto dall’ampia varietà dei vitigni presenti e dalle diverse “mani” in gioco, quanto dalle differenti provenienze geografiche e, ovviamente, dal fatto che con la moda l’autoctono è diventato un terreno scivoloso, un po’ abusato e quindi da giudicare con maggiore attenzione e severità.
Di fronte a un totale di ventitre campioni per venti etichette, c’è stato da divertirsi e le sorprese non sono mancate.
Nella prima batteria (Ansonica, Vermentino e Aleatico) è spiccato ad esempio il Rosa della Piana 2010 dell’azienda La Piana, un rosè di grande intensità e gradevolezza sia al naso che in bocca, denso, contrassegnato da una lieve nota dolce finale, ricavato da uve di Aleatico coltivate nella pianura al centro dell’isola di Capraia, messe poi su un camion e trasportate all’Elba (il “continente” della situazione) per la vinificazione. Romantico.
Nella seconda (dedicata al solo Ciliegiolo), tra i sei vini in assaggio si è distinto invece, a mio personale giudizio, il Rosso di Brenno 2008 prodotto da Poggio Paoli a Scansano, un vino di stile moderno che affianca certe note olfattive vegetali a una bocca rotonda, calda, scorrevole e accattivante. Furbo.
Nella terza (Vermentino Nero, Canaiolo e Foglia Tonda) ecco un’altra sorpresa: il Vermentino Nero 2010 dell’azienda Terenzuola di Fosdinovo. “Un vitigno – ha spiegato l’enologo Stefano Bartolomei – che non ha nulla a che fare con il Vermentino e non si capisce nemmeno perché sia chiamato così. Si sa che viene coltivato anche in Australia, dove fu importato per errore. Noi l’abbiamo ritrovato per caso nei vecchi terrazzamenti sul mare impiantati a bianco”. Il vino in questione è di colore molto scarico, quasi rosa scuro, ha un profumo floreale con note dolciastre, fresco e invitante però, molto varietale (mi ha ricordato il Marzemino) e anche in bocca mantiene una bella freschezza e una netta nota speziata. UFO.
Nella quarta batteria (Pugnitello e Colorino), godibile fra tutti il Colorino 2009 della Fattoria di Piazzano, nell’empolese: colore scuro, naso di frutti selvatici e di erba, ma piacevolmente accessibile, che in bocca si traduce in un vino franco, avvolgente e ben equilibrato. Peccato per un’incombente nota di legno. Edonistico.
Poteva essere insidiosa la quinta ed ultima batteria, dedicata a un Canaiolo passito e agli Aleatico isolani, ma i risultati sono stati assai migliori delle aspettative. Seducente e simpaticamente ruffiano il Dama Rosa 2009 de La Querce, un Canaiolo passito della zona di Impruneta, dal bel color mattone antico ed un naso ricco, intenso ma asciutto, in equilibrio tra complessità e agilità, mentre in bocca rivela una dolcezza misurata, mai stucchevole e piacevolmente alcolica. Assassino. Tra gli Aleatico, oltre all’ottimo Cristino 2009 fatto sempre a Capraia da La Chiusa, del medesimo produttore (ma stavolta da uve provenienti dalla zona di Portoferraio, all’Elba) è emerso su tutti però l’omonimo Aleatico 2008, un vino quasi esplosivo, che in rapida progressione dà note olfattive e quasi balsamiche di macchia mediterranea, sabbia di retroduna e mirto, sensazioni restituite poi con grande ricchezza e screziatura di toni anche al palato, con l’aggiunta di una ricorrente, stuzzicante idea amaricante che lo rende davvero singolare. Bomba.
Un’unica critica all’iniziativa: una volta assaggiato un vino, per giudicarlo del tutto e bene occorrerebbe conoscerne anche il prezzo.