Presentata alla stampa l’annata 2006 dell’Amarone (che dal 2010 sarà docg). Un vino molto diverso, perfino diversissimo, dal 2005: addio muscoli, marmellate e colori impenetrabili. Solo una questione di vendemmia o anche di trend?

Non che mancassero i motivi di curiosità e di interesse alla recente anteprima degli Amarone 2006, svoltasi lo scorso weekend a Verona. Un’annata tutta da scoprire, la docg appena ottenuta, i dati commerciali in perduranza di crisi, una nuova location.
Partendo dal fondo: organizzazione logistica ottima, ambiente ideale (i saloni della fiera: ben illuminati, ben climatizzati, ben insonorizzati, ben scanditi in sale diverse, ben “parcheggiabili”), clima generale di efficienza e perfino una cena finale (leggendario il risotto) servita in villa storica con orari perfetti (mai visto, o quasi, di partire dall’hotel alle 20 e di essere già di ritorno alle 23!). Insomma una formula da ripetere (e imitare).
Finalmente la Valpolicella si è suddivisa in quattro denominazioni (Valpolicella doc, Valpolicella Ripasso doc, Amarone della Valpolicella docg e Recioto della Valpolicella docg) che diventeranno operative dalla prossima vendemmia, dando all’area di produzione quell’ordine normativo divenuto indispensabile almeno in termini di tutela e di lotta alla contraffazione (è stato di oltre 1 milione, ha detto il presidente del consorzio, Luca Sartori, il numero delle bottiglie di falso Amarone rintracciate nel 2009 sui mercati internazionali).
Sotto il profilo dei risultati commerciali, vista la contingenza economica, i timori di un flop erano parecchi, ma anche in questo senso le notizie fornite dal consorzio sono state confortanti: oltre 9 milioni le fascette “staccate” nel 2009 rispetto agli 8,4 milioni del 2008, mentre in occasione dell’ultima vendemmia la prudenza ha suggerito di ridurre di quasi il 30% la percentuale delle uve messe a riposo, onde evitare una precoce e perniciosa stagione di prevedibili “saldi” sullo sfuso.
E veniamo alla parte ovviamente più interessante dell’appuntamento, l’anteprima degli Amaroni 2006, molti dei quali (25 campioni su 66 presentati) ancora in botte. Un aspetto, questo, che il sottoscritto non ama, convinto com’è che la degustazione giornalistica debba di norma essere riferita a un prodotto finito e non a qualcosa che ancora deve terminare la propria “crescita”, considerato oltretutto che i vini di cui si parla andranno in commercio solo dopo l’estate. Ero e rimango convinto, insomma (ovviamente è un’opinione), che la critica enologica sia qualcosa di diverso dalla valutazione strettamente tecnica (di competenza appunto dei tecnici) e per questo ho omesso di assaggiare i numerosi vini che non erano già in vetro. Una scelta che mi ha certo privato dell’opportunità di testare molte etichette importanti e gli sforzi di molti altri sorprendenti produttori, ma che almeno non mi ha lasciato i dubbi e le angosce tipiche della pedofilia enoica (sia detto senza drammi, nè ironie, nè offese per nessuno).
Come sempre, quindi, ho proceduto a degustazioni rigorosamente cieche, una formula dalla quale non riesco più a staccarmi per la serenità e l’equilibrio di giudizio che conferisce, di 35 dei 41 campioni disponibili.
Il risultato è stato abbastanza illuminante.
Nettissimo e quasi generalizzato, tanto da essere (benevolmente) sospetto, il ritorno a colorazioni “umane” che non si vedevano da anni e che contrastavano in modo frontale con gli stili cromatici messi in evidenza in occasione delle anteprime precedenti. Di gran lunga maggiore, in media, anche la beva dei vini assaggiati, apparsi finalmente adatti ad un consumo conviviale, più flessibili, meno invadenti, meno pesanti. In una parola, ammettiamolo, meno noiosi e inutili di tanti Amarone body building subiti nel bicchiere fino all’anno scorso. Decisamente basso pure il novero dei “reciotanti” e dei prodotti stucchevoli che solitamente prevalevano nelle bottiglie di chi inseguiva certe disdicevoli mode da concorso o da esportazione.
Insomma, un grande Amarone 2006?
Beh, non esageriamo. Diciamo piuttosto un Amarone più godibile, più pronto da bere, più adatto a stare in tavola. Se ciò sia sintomo di una minore o maggiore grandezza, è un giudizio che lasciamo ad altri. Certamente è il sintomo di una salutare inversione di tendenza. E di un vino fatto finalmente più per essere stappato goduto che per essere ostentato in carta o in cantina.