E’ morto Al Alvarez, autore nel ’72 di un saggio che mi ha cambiato la vita. Gli va tutta la mia riconoscenza.
Nel 1978 ero un adolescente inquieto molto più di quanto esteriormente potesse apparire e spesso passavo pomeriggi passeggiando senza meta per la città, in preda ad una strana malinconia. Definiamola, per chi capisce cosa intendo, teenage wasteland.
In questo vagabondare mi infilavo spesso in qualche libreria, rimpiangendo di non avere il tempo, lo spessore, l’intelligenza, la cultura per leggere e comprendere libri affascinanti, di cui magari avevo sentito parlare ma che parevano fuori dalla mia portata.
Era insomma quella fase della vita in cui uno si sente molto, anzi irrimediabilmente diverso dagli altri, e pensa di essere il solo a vivere certe esperienze emotive.
In sostanza avevo in testa una gran confusione, una sorta di indigestione intellettuale: troppe cose che lo stomaco del mio cervello non riusciva nè a digerire, nè a metabolizzare.
Fu in questa temperie che una sera, bighellonando tra gli scaffali e le scale interne della Libreria Marzocco di Firenze, quella dove ora c’è Eataly, mi imbattei in quel volume: Il Dio Selvaggio. Sottotitolo folgorante: il suicidio come arte.
In realtà non covavo propositi suicidi, ma trovai che il tema combaciasse alla perfezione coi miei interessi di allora, ovverosia la comprensione del disagio e le sue conseguenze.
L’autore era un giornalista inglese a me sconosciuto, dallo strano cognome ispanico: Al Alvarez.
Quel libro, che subito lessi e rilessi, è stato uno dei pilastri della mia giovinezza. Mi ha letteralmente aperto le cosiddette porte della percezione, illuminando e dando ordine a pertugi, valenze, legami di cui fino ad allora avevo avuto appena un confuso sentore.
Il caso ha voluto che l’abbia ritrovato, ma senza avere il coraggio di sfogliarlo ancora, disperso tra quintali di altri volumi proprio l’altroieri, quando all’improvviso mi sono anche domandato che fine avesse fatto (no, non sono uno che compulsa continuamente internet) Alvarez.
Or ora apprendo invece che Al Alvarez è mancato oggi a Londra, novantenne. Scopro anche che era un esperto di poker e di alpinismo.
E adesso, sommessamente, mi trovo a ringraziarlo per aver involontariamente versato tonnellate di benzina sulla mia debole fiammella, oltre quarant’anni fa.