Nel 2011 l’OdG del Lazio sospende Mariaceleste de Martino per aver posato nuda, un decennio prima, in un calendario-denuncia. Ma il presunto illecito è prescritto e l’Ordine annulla tutto. Lei ora vuole i danni, mentre il dibattito su decoro e professione continua.
In uno dei post più seguiti (qui) della storia di questo blog raccontai, tempo fa, la vicenda della collega Mariaceleste de Martino che, dieci anni dopo aver ideato e posato nuda in un calendario-denuncia contro i mali del mondo (realizzato da Riccardo Schicchi di Diva Futura a tinte, diciamolo, molto forti: vedi qui), si era vista sospendere dall’Ordine dei Giornalisti del Lazio e da membro di commissione (a soli 5 giorni dalla data dell’esame di stato) con l’accusa di aver leso, con l’almanacco, il prestigio della categoria.
Ne era nato un contenzioso che si è risolto il 4 luglio scorso (ma la collega ce ne ha dato notizia solo ora) con l’annullamento da parte dell’Ordine dei Giornalisti, “assorbente” ogni altro giudizio, della sospensione, dopo che la procura generale (che per legge deve ricevere notizia delle decisioni degli Ordini regionali e degli appelli presentati) si era pronunciata per l’accoglimento dell’appello della ricorrente: l’azione disciplinare infatti, è stato osservato, non avrebbe potuto essere esercitata dall’Ordine del Lazio in quanto prescritta.
Una vicenda che, nei racconti della de Martino, assume risvolti kafkiani e riporta istantanee grottesche sul funzionamento dei procedimenti disciplinari a carico degli iscritti all’Ordine. Almeno prima che intervenisse la riforma e nascessero i (però già contestati ) “consigli di disciplina“.
Della faccenda, ciò che a noi stava e sta a cuore non erano però i pur inquietanti risvolti tecnico-procedurali e i torti personali subiti dalla de Martino (la quale peraltro parla esplicitamente di provvedimenti a orologeria, adottati forse per farla fuori dalla commissione d’esame con argomenti pretestuosi), ma gli altri punti di carattere generale che il caso solleva: da un lato l’ovvio dovere della categoria di preservare e difendere il proprio prestigio, dall’altro il diritto di un iscritto di esprimere liberamente il proprio pensiero, soprattutto laddove esso consista non in un atto gratuito o esibizionista, ma in un’opera, anche visiva, che puntando su un forte impatto emotivo miri a sollevare l’attenzione dell’opinione pubblica su temi di attualità. Come appunto la denuncia di Mariaceleste, sfociata poi anche in un libro (“Libertà e patate“, Galassia Arte Edizioni, 2012, 16 euro).
Il mio primo post aveva già dato vita a un acceso dibattito.
Che però vorrei riproporre oggi, visto che nel frattempo non solo l’argomento non ha perduto forza ma addirittura, alla luce delle novità normative e del moltiplicarsi dei media, ha acquisito nuove sfaccettature.
“Se fosse davvero stato offensivo, in che modo è possibile – si chiede oggi la protagonista – che all’epoca il mio calendario, venduto in 3mila copie e di cui parlarono tutte le principali testate nazionali, come hanno dimostrato sia il mio avvocato giornali alla mano che la testimonianza dell’ex presidente Odg Lorenzo del Boca, sia sfuggito o apparso irrilevante ai colleghi dell’OdG del Lazio? E viceversa, come è possibile che mi sia stato contestato dieci anni dopo? In cosa poteva essere licenzioso nel 2011 ciò che non fu ritenuto tale nel 2001?“.
Vi invito allora ad andare a rileggere il mio articolo, a dare un’occhiata alle immagini e poi a dire la vostra: quali sono i limiti deontologici di un giornalista in materia di comune senso del pudore e di tutela del prestigio professionale? Perchè a noi fare da testimonial pubblicitario è (secondo me giustamente) vietato, ma posare per un calendario a luci rosse no (o forse sì, visto che quello di Mariaceleste de Martino non può definirsi a luci rosse)? Nuoce al decoro della professione la collega che posa senza veli o partecipa ammiccante a trasmissioni tv che nulla hanno a che fare con l’informazione? E il collega che si esibisce in spettacoli trash?
In definitiva, dove sta il confine tra il messaggio forte e l’oscenità, la giusta causa e la marchetta?
E che idea ne avranno i consigli di disciplina appena introdotti nell’ordinamento professionale?
Per un mestiere come il nostro, sempre più legato al visivo, all’immagine e al web, trovare un attendibile e costante bandolo della matassa sarebbe oggi quantomai importante.