Mai visto un cameriere che vi chiede di andare a cucinare il piatto che avete ordinato o vi propone di servirlo a un tavolo diverso, dove dovreste sedervi abbandonando i vostri commensali? No, vero? Eppure, mutatis mutandis…

Sì, tema vecchio: me ne occupai con gran risalto già anni fa, qui.
Ma il problema resta attualissimo e il travaso di bile è ricorrente. Quindi ci torno sopra.
Stavolta con una lettera aperta.
Caro corriere espresso e relativo autista,
lo so che state lavorando e che, come a tutti, vi farebbe comodo risparmiare tempo e fatica.
Se posso, vi agevolo e vi aiuto nello stesso modo in cui – spero – fareste voi al posto mio.
Ma se per farmi inviare delle cose utilizzo appunto un corriere espresso, o chi vuole farmi recapitare qualcosa usa questo mezzo anzichè altri, un motivo ci sarà.
Ed è sempre il solito: consegna rapida a domicilio.
Sapete che vuol dire a domicilio? Vuol dire a casa mia, al portone, insomma arrivi-suoni-ti apro-consegni-grazie-arrivederci. Soprattutto se il mio domicilio è per l’appunto scomodo, fuori mano, distante.
E’ perciò non solo inutile e altamente non professionale che ogni volta che avete un pacco per me mi telefoniate per sapere se ci sono, oppure facciate finta di chiamarmi e di non trovarmi, o peggio di essere venuti senza trovare nessuno, o che la casa si sia dissolta nel nulla e l’indirizzo sia “sconosciuto”, o che il pacco sia perfino stato “respinto“, o che abbiate lasciato un “avviso” del quale ovviamente non c’è traccia.
E’ però davvero insopportabile che mi chiamiate per sapere “da che parte vado di solito e quando” (!) solo per chiedermi subito dopo se c’è qualcuno in quella direzione (e vicino a dove vi trovate, perciò lontano da casa mia) a cui potete consegnare il plico senza venire da me.
E’ infine assolutamente intollerabile che, senza nemmeno chiamare, nè ovviamente venire, fermiate il primo che incontrate per strada o suoniate al primo portone che trovate, magari a parecchi km da casa mia, chiediate se mi conoscono e, in caso di risposta affermativa (ovviamente vi guardate bene da approfondire il livello di familiarità e di conoscenza), gli consegniate il dovuto, perfino lasciando intendere che sarei stato io a indicarvi di rivolgervi a loro. Dopodichè dovremmo scomodarci noi al posto vostro: loro per consegnare a me o io per ritirare da loro quello che senza autorizzazione gli avete lasciato.
La vostra nemmeno troppo segreta speranza è che, un po’ per stanchezza e un po’ per necessità, la cosa diventi una comoda abitudine o che, a forza di subire le vostre fantasiose scuse, pian piano mi rassegni a sciropparmi dieci, venti, trenta km in macchina per andare al deposito a farmi dare il pacco.
In pratica, cercate di fare in modo che sia io a fare il lavoro vostro.
Ora, potrà anche darsi che gli autisti abbiano turni massacranti, giri impossibili e imprevisti vari. Do anche atto alla categoria degli che tantissimi di loro si rivelano alla fine cortesi, disponibili, volonterosi, professionali, onesti e sorridenti.
Ma io o qualcun altro paghiamo per un servizio che è contrattualmente garantito, quindi è al datore di lavoro, cioè al corriere, che essi devono rappresentare i loro problemi, senza scaricarli su di me.
E, soprattutto, nessuno mi prenda per i fondelli.
Anche perchè non sapete cosa c’è nel pacco al quale spesso furbescamente state facendo fare il giro delle sette chiese pur di non percorrere quei 10 km in più necessari a raggiungermi.
E se il danno che mi procurate è grave, io mi arrabbio di brutto e poi son dolori.
E’ già successo, più volte.
Nel vostro ufficio lo sanno bene. Conoscono il mio nome e il mio telefono a memoria. Poi non si lamentino se arrivano proteste e dall’alto piovono saette“.
Corriere e autista avvertiti, mezzi salvati