Dopo l’uscita di San Silvestro del premier, è partito l’assalto alla diligenza della propaganda e delle rivendicazioni strumentali. Con le elezioni dell’Ordine alle porte e le bonacce sindacali a rischio d’implosione, tutto fa brodo.

Credo che ci chiederemo a lungo, come giornalisti, se l’improvvida uscita contro l’Ordine di Matteo Renzi in occasione della conferenza stampa di fine anno abbia più portato acqua al mulino della nostra zoppicante categoria o ne abbia tolta a quello del premier.
Di sicuro ha sollevato un polverone.
Il cui primo apparente effetto è stato, purtroppo, quello di confondere le idee a chi in materia già le aveva confuse, colleghi compresi. Mentre il secondo è stato di scatenare il vortice degli opportunismi, delle strumentalizzazioni e degli aggiustamenti di tiro in chiave politico-istituzionale da parte di molti soggetti chiamati, spesso loro malgrado, in causa.
Per brevità e per risparmiarmi inutili travasi di bile ometterò di chiosare una per una il vasto campionario di sciocchezze più o meno maliziose che, a ogni livello, si sono lette in questi giorni sulla questione.
Ma la deriva è chiara: o per miopia o a bello studio si tenta di spostare il discorso dal terreno squisitamente materiale dell’economia (cioè del sistema dei compensi professionali con annessi e connessi) a quello inutilmente teorico dei principi. Tutto serve per stornare l’attenzione dai responsabili della catastrofe: la politica (che non riforma la professione), l’Ordine (che alimenta il giornalistificio), il sindacato (che non rappresenta nessuno e non tutela nessuno, ma in compenso fa politica e si specchia nei propri giochini di potere) e un’industria editoriale che ha la stessa vitalità, per dirla con Coe, di una triglia in coma.
L’effetto è tanto comico quanto perverso: antiordinisti convinti si trovano costretti a prendere le parti dell’OdG, sindacalisti assenteisti ritrovano verve sui temi che volutamente ignoravano, lo sbeffeggiato Iacopino è eletto a defensor fidei da chi fino a ieri lo osteggiava, le vecchie glorie si avvedono per la prima volta che la Lettera 32 non s’usa più, c’è chi nel più totale imbarazzo tenta di ridurre la faccenda a una diatriba terminologica (schiavi sì e schiavi no) o moralistica (lui è più schiavo di te), c’è chi non ha capito nulla e confonde l’abbozzo di progetto governativo sulle partite iva con il provvedimento sull’equo compenso per il lavoro giornalistico. Poi ci sono quelli che predicano bene contro i compensi simbolici ma razzolano male avallandoli come congrui, quelli che si lamentano ma siccome vivono d’altro li accettano, quelli che tanto hanno la pensione e quindi lavorano pure gratis, quelli che non capiscono che lavorando gratis non si campa se altri non campano te, quelli che si firmano freelance senza sapere di non esserlo nè che vuol dire. Dalla profonda narcosi del letargo danno cenni di risveglio organismi di limpida e comprovata inutilità come la Clan (Commissione lavoro autonomo dell’Fnsi, non me ne vogliano gli amici che ne fanno parte). Si spaccia perfino l’obbligo deontologico, nonchè l’ovvia necessità, di rifiutare remunerazioni troppo basse o inesistenti con la messa in pericolo della libertà di stampa.
E’ la prova più lampante che gattopardo ci cova e che abbiamo sprecato un’altra opportunità, ammesso che ce ne fosse una.