L’idea è del mio amico Guido, ma pare l’uovo di Colombo: risparmio per gli automobilisti, niente duplicati, copertura di tutti i rischi, poche truffe. Una liberalizzazione che piacererebbe al governo dei professori e agli amici delle compagnie?

Quel gran genio del mio amico Guido, lui saprebbe cosa fare.
Non con il cacciavite in mano (è fotografo e pure bravo), ma con la cosiddetta rcauto. Cioè l’odioso, ancorchè necessario (lo impone la legge 990 del 1969) salasso che, anche a prescindere dalla fedina immacolata dell’automobilista, da anni continua inesorabilmente a lievitare. E che a tutti i proprietari di un’automobile resta molto indigesto.
L’altro giorno, insomma, l’amico mi telefona e mi dice: ti devo parlare.
Di che?
Dell’assicurazione della macchina, risponde.
Se un fotoreporter che solitamente si occupa di viaggi e di costume ti chiama per parlarti della polizza obbligatoria di assicurazione dell’auto per la responsabilità civile verso i terzi, bisogna ascoltarlo per forza.
L’ho fatto. E lui è stato abbastanza convincente. Anzi, molto.
Perché la sua teoria non fa una piega. E si adatterebbe perfettamente alla logica delle liberalizzazioni che, a volte in modo un po’ demagogico, sembra attraversare l’Italia in questi mesi di sofferenza “tecnica”.
Solo che, a differenza di tante altre, la pensata di Guido pare semplice, acuta e di immediati effetti pratici.
L’idea è questa: perché non avviare una campagna per trasformare l’assicurazione dell’auto in un’assicurazione della patente? Cioè per trasferire l’obbligo di copertura assicurativa dal mezzo alla persona? Gli effetti di prevenzione e di salvaguardia sociale sarebbero gli stessi, ma il costo da sostenere sarebbe infinitamente inferiore e i benefici assai superiori.
Anche tralasciando una prima e ovvia ragione, dice Guido, ma di per sè già più che sufficiente a giustificare il passaggio a un nuovo regime (se ho due auto è evidente che non posso guidarle contemporaneamente, quindi mentre una circola l’altra sta per forza ferma), gli altri vantaggi sono evidenti. Innanzitutto, con una sola polizza potrei assicurare la guida di tutti i mezzi previsti dalla mia tipologia di patente, inclusi quelli a noleggio, con risparmio sui costi del medesimo e quindi il rilancio dell’economia del rent-a-car. Inoltre, trattandosi di un’assicurazione personale, sarei coperto anche in caso di guida di mezzi non altrimenti soggetti all’obbligo assicurativo, come la bicicletta. Essendo poi la responsabilità sempre riconducibile a una persona fisica, quindi inequivocabilmente individuabile, ciò renderebbe anche più facile contrastare le diffuse truffe, puntualmente portate a giustificazione dalle compagnie per gli insopportabili rincari dei premi.
E così risulterebbe pure più semplice, insiste lui, applicare un serio sistema di bonus malus, premiando gli automobilisti virtuosi attraverso l’elargizione o la sottrazione di “punti” dall’assicurazione della patente.
L’unico caso forse economicamente peggiorativo, sottolinea, si verificherebbe nel caso di famiglie che abbiano in casa un solo mezzo e più patenti. Ma a parte il fatto che oggi queste sono certamente una minoranza, lo svantaggio potrebbe essere indirettamente compensato dal ribasso ottenuto sui premi rispetto a quelli dell’attuale rcauto.
L’idea, tra l’altro, ha anche una sua intrinseca valenza di equità sociale oltre che pratica: tende cioè a riequilibrare una situazione divenuta perversa, nella quale un obbligo giusto e condivisibile (la reciproca garanzia di solvenza tra automobilisti in caso di sinistri con responsabilità) si è gradualmente trasformato in un grande, ingiusto e lucroso privilegio di pochi (le compagnie assicurative) a spese di molti, anzi, di tutti i cittadini.
Troppo semplice per essere vero?
Forse. Ma spesso il buon senso del padre di famiglia è un’ottima strada maestra. Anche per i professori.