Si è tenuta ieri la prima riunione della “commissione contratto” dell’Fnsi, con cui si apre la stagione del rinnovo contrattuale dei giornalisti. Parolina dal valore misteriosamente taumaturgico, capace di resuscitare perfino le speranze sepolte degli autonomi. Per ora nulla trapela. Ma l’esperienza insegna che…

Ultime da Cassandropoli: altro giro, altra corsa.
Il rito del rinnovo contrattuale deve avere un potere inebriante sui sindacalisti, che al suo profilarsi si ringalluzziscono contro ogni ragionevolezza. Un caso di feticismo giuslavoristico? Chissà.
Prendiamo i giornalisti. Da almeno due volte che escono dalla battaglia con gli editori, per usare un eufemismo, accontentandosi. Eppure, proprio ora, nel momento in cui il loro potere è al minimo storico, si apprestano ad affrontare la nuova maratona pieni di bellicosi propositi, pur sapendo che, ben che vada, sarà un miracolo anche solo mantenere la posizione raggiunta all’ultima tornata.
In quest’ondata di insensato ottimismo si inserisce poi, caso clinico, il capitolo autonomi.
Cioè i diseredati del giornalismo, gli invisibili, i sans papier (proprio nel senso di carta contrattuale) del sindacato. Già per tre volte illusi da tonitruanti annunci congressuali e per tre volte delusi per la miscela di un’evidente mancanza di volontà, di capacità e di rappresentanza del sedicente sodalizio sindacale della categoria, si rituffano nell’avventura pieni di fiducia e di candidi auspici.
Per carità, da un lato è un bene. Ma è evidente che anche in questo caso l’esperienza non ha insegnato nulla.
Punto di partenza: il lavoro autonomo non è nè è mai stato parte del ccnl dei giornalisti e ditemi voi se è un elemento a favore. Secondo, la Fieg non ha alcuna intenzione di cominciare adesso, che ha il coltello dalla parte del manico. Terzo, il mondo dei non contrattualizzati è una galassia caotica, divisa, deprofessionalizzata, sbandata, anarchica, disomogenea.
In nome di cosa, dunque, si può sperare che, per miracolo, questo negletto settore debba essere stavolta oggetto di qualche attenzione?
Mistero.
Eppure, qualcuno dei diretti interessati ci crede.
Ci crede quell’organo privo di potere e di funzioni che è la Commissione lavoro autonomo dell’Fnsi. Ci credono (o dichiarano di crederci) alcuni suoi membri. Perfino alcuni autonomi. Molti altri stanno a guardare, mendicanti fuori dalla porta del signore, pronti a gettarsi sugli eventuali avanzi di arrosto come se fossero bocconi prelibati. I capataz ovviamente simulano invitta fede e proclamano, rivendicano, preannunciano le solite azioni “durissime” a difesa dei più deboli.
Poi, però, confondono precari e freelance, collaboratori e cococo. Ritenendola uno scippo del loro divino (ma mai esercitato) potere, sollevano eccezioni alla Carta di Firenze con mesi di tattico ritardo. Mettono l’ennesimo pensionato ai vertici della Commissione degli autonomi, evidentemente secondo loro bisognosi di tutela.
Alla fine, certo, dalle interminabili diatribe sindacali, eccellente palestra di personalismi e ipocrisie, qualcosa verrà fuori. Di cui la Fieg però, presa visione, farà carta straccia. Mentre al solito il sindacato, privo di alternative, si adeguerà. E tutto rimarrà com’è adesso.
E allora sento già le accuse incrociate. L’Fnsi addosserà innanzitutto la colpa del suo ennesimo buco nell’acqua al “padrone cattivo”, cioè agli editori. Con i quali però fa come i ladri di Pisa, che di giorno litigano e la notte vanno a rubare insieme: non a caso sono editorial-sindacali i siluri lanciati in queste settimane contro la legge sull’equo compenso del lavoro giornalistico. Un pilastro indispensabile al consolidamento professionale della figura del giornalista autonomo (vedi qui). Ma reo di essere frutto non dei (molli) lombi sindacali, bensì di una sorta di sorpasso a destra compiuto dall’Ordine. Vade retro, Iacopino!
E se comunque, al momento di discutere la piattaforma del rinnovo (la quale, certamente, in esordio conterrà un quid sugli autonomi: alla Federazione provarci non costa nulla, mentre negarlo a priori equivarrebbe a suscitare una rivolta interna difficilmente arginabile), l’equo compenso sarà divenuto legge, il fallimento della trattativa federale verrà attribuito anche ad esso, responsabile di aver tolto “contenuto” al pacchetto sindacale portato al tavolo della trattativa. Se non lo sarà, sarà sempre colpa dell’equo compenso, la mancanza del quale si dirà che ha viceversa tolto incisività legale e peso specifico al pacchetto medesimo.
Insomma ci entrerà in ogni caso e sempre in negativo.
Poi c’è il problema sostanziale: oltre a recepire la teoria dell’equo compenso, l’inclusione del lavoro autonomo nel contratto collettivo nazionale dovrebbe prevedere infatti il suo postulato pratico, cioè la fissazione dei compensi minimi inderogabili. E qui viene il bello. Le file dell’Fnsi sono venate delle posizioni più disparate: dagli strenui difensori dei 3 euro al pezzo ai fautori dei 50 euro e passa ad articolo. Sempre minimi, eh! E senza troppo sottilizzare tra quotidiani, periodici, tv, web: un solo calderone. Difficile capire allora su che soglia si attesterà il bilancino federale, visto che in Corso Vittorio non si ha sostanzialmente idea di che cosa sia e in che cosa consista questo oscuro “lavoro autonomo” nel quale ci si ostina a far ricadere figure perfino antitetiche.
Non parliamo poi di clausole contrattuali su cose aliene come i rimborsi spese, le assicurazioni, i tempi di pagamento.
Per le voci marziane c’è tempo in una prossima vita.
In quella corrente accontentiamoci di richieste lunari. E dei dinieghi terrestri.
Anzi, pedestri.