E’ sempre la stessa storia: prima ti mostrano uno specchietto per le allodole, poi la realtà si rivela un’altra. Nascosta nei soliti codicilli formalmente ineccepibili. E in fondo al consueto labirinto informativo, senza che nulla sia detto chiaramente.

Per i non addetti ai lavori: la Casagit è la “Cassa autonoma di assistenza (sanitaria) integrativa dei giornalisti italiani“.
Prima era riservata ai soli contrattualizzati, pagata dal datore di lavoro e ambitissima per l’ampiezza dei suoi rimborsi e l’eccellenza delle sue prestazioni. Poi è stata aperta, in modo molto più oneroso, agli autonomi. I quali, dopo qualche anno, sono stati però tutti o quasi costretti a abbandonarla per l’aumento esponenziale dei contributi richiesti (e in questo caso, sia chiaro, pagati di tasca propria).
Colpa, dicevano, dei “furbi”, che prosciugavano le casse facendo moltiplicare i costi. Sarà.
Dopo un po’ di tempo – impiegato a capire che per uno che introita 12mila euro l’anno, se va bene, era impossibile versarne 4mila alla Casagit – c’è stata una “rimodulazione” dei servizi. Che ha dato vita a una martellante campagna per il recupero dei transfughi.
Slogan: “La Casagit si fa in quattro”. Dove quattro sono i “profili” dell’associato, cioè i trattamenti corrispondenti ad altrettante quote, con benefici e costi ovviamente differenziati.
La faccio breve: mosso da un’insana fiducia, mi (re)iscrivo al profilo due, quello più caro (robetta da 2.300 euro l’anno più altri 2.000 di ingresso “una tantum”, mica noccioline), il più adatto però ad un professionista della mia età e con le mie esigenze. Mi spiegano che, tra le altre cose, ho diritto a un rimborso delle spese per visite specialistiche di ogni tipo fino a un massimo di 800 euro l’anno a persona, che diventano 1.200 se iscrivo anche il coniuge.
Ma alla prima occasione, sorpresa: si scopre che per ogni visita specialistica c’è anche un “massimo rimborsabile” di 56 (cinquantasei) euro. Avete letto bene: 56, cinque-sei. Quindi la differenza (ditemi quale prestazione, oggi, costa meno di 100 o 150 euro) è a vostre spese. In pratica, visto che uno paga pure una salata quota fissa annua, più hai bisogno di visite e più ci rimetti. Se raggiungi il tetto di 1.200 euro di rimborsi, poi, vuol dire che sei rovinato, perchè significa che ne hai spesi almeno 3.000.
Mi si dirà che la quota annua copre anche tutte le altre prestazioni erogate da Casagit e che comunque dovevo pensarci prima. Ed è vero.
Peccato però che di questo “massimo rimborsabile” non ci fosse traccia nè nei prospetti cartacei, nè nei plurimi colloqui avuti a voce con gli uffici regionali e nazionali della Casagit prima di sottoscrivere l’adesione.
Sugli opuscoli, in caratteri microscopici contrassegnati dal solito asterisco c’era scritto solo, proprio in fondo, che “il rimborso delle spese viene effettuato in forma indiretta, entro i limiti del massimale, nel rispetto delle modalità di rimborso previste dal tariffario” (non riportato, ovviamente). Dicitura, ne converrete, oscura. Soprattutto se qualcuno, a voce, non te la sottolinea. Sul sito – che, dopo la lettura della brochure e i colloqui, ovviamente nessuno consulta – si arriva sì al conquibus, ma tramite un gioco dell’oca che ti rimbalza da una sezione a un’altra finchè, se hai la pazienza di scorrere il tariffario fino a pag. 14, scopri la seguente, laconica voce: “visite specialistiche, euro 56 (non sono ammesse a concorso le visite chiropratiche e osteopatiche, dietologiche, generiche, medico-legali, medico-sportive, odontoiatriche e ortodontiche, omeopatiche, psichiatriche e psicologiche)“. Nota bene: nemmeno qui, comunque, si dice esplicitamente che quei 56 euro sono il massimo rimborsabile per ogni visita.
Ora non so se spulciare anche il resto, per scoprire di quante decine di malanni, ricoveri, visite e medicazioni avrei bisogno per sperare di ammortizzare almeno in parte i 2.300 euro annui che mi sono impegnato a versare per tre anni alla Casagit, oppure se chiudere gli occhi e far finta che domani sia un altro giorno.