Approda oggi in Commissione alla Camera il progetto di legge per la riforma dell’Odg che, tra le altre cose, introduce un esame orale di cultura generale per l’ammissione ai pubblicisti, ma abolisce quello per gli aspiranti professionisti dotati di laurea. Insomma, la selezione al ribasso continua.

Chissà, forse è un caso. Una combinazione. Ma proprio nel giorno in cui si apprende (qui) che in un liceo per fenomeni calabrese si registra il record nazionale dei massimi voti (20 maturati con 100 e lode, il decuplo che al nord), a conferma del fatto che in Italia la qualità intrinseca della preparazione scolastica è una questione di pura facciata, leggo dall’AGI: “Giancarlo Mazzuca, esponente Pdl, annuncia che domani, 2 agosto, “approda alla Camera, in Commissione Cultura, che delibererà in sede legislativa, la riforma dell’Ordine dei giornalisti di cui sono relatore. La riforma servirà a snellire e a modernizzare il Consiglio nazionale che, a quasi cinquant’anni dal varo (la “legge Gonella” del 1963), appare obsoleto, burocratizzato e costoso. Con la riduzione dei componenti del massimo organo dell’Ordine e con regole più chiare per l’iscrizione delle nuove leve, riusciremo a rendere tutta la struttura più snella e moderna”. “Molti addetti ai lavori – afferma Mazzuca – mi chiedono, in questi giorni, che senso abbia approvare la riforma quando si fa sempre più pressante la necessità – e il tema è stato dibattuto anche prima dell’ultima manovra finanziaria – di eliminare gli Ordini e di liberalizzare tutte le professioni, dagli avvocati, ai notai e agli stessi giornalisti. Intendiamoci, sono anch’io favorevole a voltare definitivamente pagina, ma mi chiedo: con tutte le spinte corporative che ancora ci sono, quando sarà possibile compiere davvero la ‘rivoluzione del mestiere’? Mi sembra che si stia ripetendo quanto si registra per l’abolizione delle Province: tutti, a parole, la vogliono, ma nessuno la fa. In attesa della liberalizzazione delle professioni, l’Ordine dei giornalisti procede con il fiatone: ha cinquant’anni, ma ne dimostra molti di più. E, allora, ecco la nostra piccola riforma ‘bipartisan’ che viene incontro alle richieste degli addetti ai lavori, i giornalisti”.
Bene. Era ora.
Lasciamo perdere la questione dell’abolizione e concentriamoci invece su quella della riforma, che auspico pubblicamente da tempi immemorabili e non sospetti.
Ci si addentra nel testo e le magagne vengono subito fuori. Io infatti sarò certamente un vecchio brontolone, bastian contrario, a cui tutto sembra, alla Bartali, “sbagliato e da rifare”. Ma mi chiedo: che senso ha – in un contesto di giornalistificio permanente ove l’accesso alla professione è risibile – introdurre un regime che, a parole almeno, da un lato eleva le soglie (esame orale per diventare pubblicisti: mi pare il minimo, sempre che si tratti di un esame serio) ma dall’altro le abbassa, abolendo l’esame di cultura generale per gli aspiranti professionisti muniti di una qualsiasi laurea? Ovvero: può essere un titolo di laurea, in una professione oltretutto delicata come quella del giornalista, di per sè garanzia di solida cultura generale? Ma per favore, lo sappiamo tutti che non è così. E quindi, abolendo l’orale, si rende il test solo più facile.
Intendiamoci: l’esame orale per diventare professionisti, al quale attualmente si accede solo dopo aver superato quello scritto, è già oggi uno sbarramento per modo dire, visto che per essere bocciati occorre essere semianalfabeti o insultare pesantemente mogli e madri degli esaminatori (l’aneddotica sugli asini promossi fiocca). La logica “nuova”, in un’ottica selettiva, dovrebbe essere così non solo quella di mantenerlo ma casomai, avendo a che fare con gente in possesso del titolo accademico, di renderlo più impegnativo, per rendere la qualifica più credibile e adeguata al mondo complesso di oggi. Insomma, bisognerebbe tentare di elevare il livello culturale medio di chi si fregia della qualifica di “giornalista“, anzichè comprimerlo.
Asseverando invece, attraverso la presa d’atto dell’esistenza di una laurea, lo stato di “sufficientemente colto” del candidato, la riforma dell’Ordine fa un passo indietro, perchè finge di ignorare la condizione di generalizzata ignoranza degli italiani e abolisce l’unica parvenza di filtro esistente, cioè l’esame, per appurarla.
Il risultato sarà che cambierà la facciata, ma il giornalistificio rimarrà tale: “todos caballeros” e via dentro una professione fatta di mediocri preparazioni e di formazioni inadeguate.
Siamo proprio masochisti