Sono stato proprio presentato così, con le virgolette prima dell’articolo e dopo il sostantivo. Insomma non volevano dire che ero “il” per eccellenza (ci mancherebbe altro), ma il normotipo del giornalista tradizionale. E la cosa mi ha fatto riflettere.
Nelle intenzioni di chi parlava non c’era certamente la volontà di offendermi o di deridermi, ma solo quella di qualificare al meglio la mia dimensione professionale. E così ha detto: “Vi presento Stefano Tesi, “il giornalista” per definizione“.
Dove “il giornalista” (e non “il” giornalista, badate bene) significava che svolgo la professione nell’accezione più “normale” della parola: scrivo articoli per testate in prevalenza cartacee e mi comporto, penso, parlo come uno che fa questo.
Il sottinteso, per niente implicito, era insomma che non mi esibisco sul web, non svolgo ruoli ambigui, non mi mescolo con altri mestieri, non mi prendo licenze non consentite dalla deontologia, non cavalco le molte e strane attività che spesso chi opera nella “comunicazione” ostenta come titoli e qualifiche alternative, o equipollenti, o ulteriori.
Lì per lì la cosa mi ha fatto piacere, perchè significava che il mio anfitrione mi (ri)conosceva e aveva capito la natura del mio lavoro.
Le domande ho cominciato a farmele dopo.
Chiedendomi: “Ma se in un’occasione in cui si ha a che fare con l’informazione, e quindi con i giornalisti, qualcuno sente il bisogno di specificare che un ospite fa “il” giornalista, come se la normalità fosse un’altra, questa normalità qual è?”
E fare semplicemente il giornalista-giornalista è dunque qualcosa che oggi dev’essere sottolineato come una stranezza, un’anomalia, ben che vada un vezzo un po’ retrò?
Non ho avuto il modo di chiederlo nè a chi mi presentava, nè a quelli a cui mi hanno presentato, ma pongo il quesito ai colleghi e ai lettori.
Anche perchè il tipo che è stato presentato dopo di me ha consegnato un biglietto da visita con stampigliato “blogger, digital pr & social media specialist, influencer“, se ho fatto in tempo a sbirciare tutto. E gli intelocutori non hanno fatto una piega.
Da qui l’inquietante interrogativo se l’anormale fosse lui o fossi io.